Il rappresentante permanente di Pechino presso le Nazioni Unite, Fu Cong, ha rimarcato la necessità di una condivisione globale di intenti nel cyberspace. “Priorità dei Paesi è costruire un cyberspazio pacifico, sicuro, aperto, cooperativo e ordinato”.
La Cina di Xi Jinping non rappresenta solo una delle più grandi economie del globo, seconda solo agli Stati Uniti, ma è anche il Paese con la strategia meglio definita in materia di cybersecurity insieme agli Usa (non dimenticando la Russia) – attenzione, in particolare, alla Postura cyber degli Usa – attraverso investimenti paragonabili solo agli States. Particolarmente interessante, però, è la posizione condivisa da entrambe le superpotenze in ambito istituzionale.
La Cina e gli Stati Uniti, infatti, promuovo (e informano) attivamente in merito alle normative legali sul codice di condotta globale nel cyberspazio, nella convinzione che un’interazione disordinata in questo spazio possa nuocere sia ai loro interessi sia a quelli del mondo intero. “Tutti i Paesi sono chiamati ad affrontare le sfide comuni e ad assumersi insieme delle responsabilità”, le parole del rappresentante permanente della Cina presso le Nazioni Unite, Fu Cong, riprese dalla testata Xinhua News. Chiedendo poi “uno sforzo collettivo per costruire un cyberspazio pacifico, sicuro, aperto, cooperativo e ordinato”.
Nel corso del briefing del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in materia di cybersecurity, Fu Cong ha evidenziato che il cyberspace “è profondamente integrato con il mondo fisico ed è un’ancora importante per lo sviluppo della società umana”. In particolare, ha proseguito il rappresentante permanente di Pechino alle Nazioni Unite, “il cyberspazio non dovrà mai diventare un nuovo campo di battaglia dove si diffondano estremismo, terrorismo e disinformazione né un terreno di alleanze militari”. Se queste azioni avvenissero, ha concluso l’ex ambasciatore cinese presso l’Unione europea, “minerebbero la fiducia reciproca tra i Parsi e aumenterebbero il rischio di attriti nel cyberspace”.
Rispettare la sovranità degli Stati nel cyberspazio
Dal 2018 perdura il dibattito sull’esistenza (o meno) di una norma di diritto internazionale che, in ambito di cyberspace, imponga ai Paesi di rispettare la sovranità di altri Stati. In questo contesto – fermo restando che diversi Stati hanno reso pubbliche le proprie posizioni su come il diritto internazionale debba applicarsi al cyberspazio (tra gli ultimi, in ordine di tempo, c’è la Polonia: qui la nota pubblicata dal Ministero degli Affari Esteri), mentre altri (come gli Stati Uniti e l’Australia) non hanno ancora assunto pubblicamente una posizione ferma sul tema – il rischio è che a “rimetterci” sia proprio la stabilità e la sicurezza nel cyberspazio.
Ed ecco l’ulteriore “inserimento” di Pechino, che attraverso il vicecapo dell’amministrazione cinese del cyberspazio, Wang Xun, chiede al mondo il rispetto della sovranità di tutti gli Stati nel cyberspazio. Come spiega ancora l’agenzia di stampa Report.az, il focus riguarda anche l’impiego delle tecnologie digitali che – illustra Wang Xun, “sono un’arma a doppio taglio: da una parte restituiscono all’uomo un universo digitale e dinamico, dall’altra comportano pericoli e sfide infinite da affrontare”. Da qui, conclude, l’importanza di “rinsaldare il concetto di sicurezza comune, prevenire in sinergia l’abuso delle tecnologie digitali, combattere insieme il cybercrime”.
Consolidare la capacità di guerra cibernetica
Consapevole della rilevanza dello sviluppo di capacità cyber, la Cina (nel febbraio scorso, un massiccio data breach di oltre 570 documenti ne ha rivelato l’ampiezza delle attività cibernetiche) sta definendo un’ambiziosa strategia mirata ad incrementare la resilienza delle proprie infrastrutture.
L’istituzione dell’Information Support Force per rafforzarsi nel cyberspazio – la cui cerimonia ufficiale ha visto il segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista cinese, capo di Stato e presidente della Commissione militare centrale consegnare una bandiera ai suoi comandanti – muove proprio in questa direzione: rispondere a fondo ai requisiti dei conflitti moderni, migliorando velocemente e con elevata qualità le capacità combattive del sistema. Prese di posizione che, di fatto, rientrano in un ben più ampio (e strutturato) processo modernizzazione.