Cyberdefence e difesa comune dell’Unione Europea: strategie e cooperazione. Intevento di Alessandro Alfieri, Commissione Affari esteri e Difesa, Senato della Repubblica, Pino Bicchielli, Commissione Difesa, Camera dei Deputati, Enrico Borghi, Commissione Affari esteri e Difesa, Senato della Repubblica, Andrea Gilli, Lecturer, University of St Andrews – Senior Advisor, Ministero della Difesa, a ‘CyberSEC2025 – AI, Crittografia Post-Quantum, Spionaggio e Geopolitica: il nuovo mondo della Cybersecurity’, la 4^ edizione della Conferenza internazionale promossa e organizzata dal nostro giornale, in corso il 5 e il 6 marzo a Roma presso i Saloni di Rappresentanza della Caserma Salvo D’Acquisto.
Cyberdefence e difesa comune dell’Unione Europea: strategie e cooperazione
Stiamo vivendo settimane di profondi cambiamenti, che hanno riacceso il dibattito sull’autonomia strategica dell’Europa. Di Europa e di strategie di difesa comune si è parlato a CyberSEC2025, nel panel che ha visto protagonisti gli onorevoli Alessandro Alfieri (Senato), Pino Bicchielli (Camera),Enrico Borghi (Senato), e Andrea Gilli (Ministero della Difesa).
On. Bicchielli, a che punto è la difesa europea?
“È la domanda cruciale di questi giorni. La realtà è che non esiste ancora una vera risposta, perché l’Europa, nata per costruire una sovranità politica, militare e industriale, continua purtroppo a muoversi in direzioni diverse. Spesso analizziamo la situazione geopolitica con uno sguardo rivolto a cento anni fa, mentre i problemi che affrontiamo oggi sono anche di natura burocratica.
Basti pensare che, nel giorno della sua elezione, Donald Trump ha firmato centinaia di ordinanze: una cosa impensabile nel contesto europeo. L’Europa non può più permettersi di ragionare come un insieme di 27 singoli stati, eppure il lavoro verso un’integrazione effettiva è ancora agli inizi. Troppo spesso ci siamo divisi, incapaci persino di avanzare una proposta unitaria.
Eppure, nonostante queste difficoltà, credo che il momento attuale rappresenti un’opportunità più che un ostacolo: l’occasione per trasformare l’Europa in un corpo unico. La recente riunione convocata da Macron ha dimostrato come l’UE non fosse preparata ad affrontare certe sfide. Tutto questo conferma che, dal punto di vista militare, gli investimenti attuali sono ancora insufficienti” .
On.Alfieri, l’UE ha strumenti per contrastare gli attacchi cyber russi e cinesi?
“Per affrontare questa sfida serve un’operazione di trasparenza e consapevolezza: dobbiamo chiarire cosa significhi davvero investire in difesa oggi. La discussione ruota attorno a tre ambiti fondamentali: spazio, cybersecurity e trasporto strategico. È necessario raccontare con chiarezza questi aspetti e il loro impatto.
L’Europa resta fortemente dipendente dagli Stati Uniti, motivo per cui il piano proposto da Ursula von der Leyen non convince del tutto. Abbiamo bisogno di spingere con decisione sugli investimenti, a partire dai 150 miliardi annunciati, che possono essere considerati un bene pubblico europeo. Attualmente, il budget destinato alla difesa integrata è di appena 1,5 miliardi: una cifra marginale rispetto alle necessità reali. Dobbiamo aumentare le risorse, ma vincolandole a meccanismi che favoriscano strumenti comunitari e una maggiore integrazione tra gli Stati membri.
Un esempio concreto è il caso di Leonardo: operazioni di questo tipo permettono di sviluppare tecnologia strategica mantenendola in Italia e in Europa. Più rafforziamo la collaborazione tra i diversi settori industriali, più saremo competitivi e sicuri. Tuttavia, il settore della difesa incontra ancora molte difficoltà. Per costruire una difesa europea unita, serve un maggiore coordinamento tra gli Stati, una cooperazione più stretta e un impegno condiviso. In particolare, Italia, Germania, Francia e Spagna devono compiere un deciso salto di qualità” .
Dott.Gilli, qual è la sua opinione in merito alla Cyberdefence?
“Un aspetto cruciale riguarda il ruolo degli Stati Uniti: la dipendenza europea dal supporto militare americano, in particolare nel contesto ucraino, solleva interrogativi sulla reale autonomia strategica dell’UE. La competizione può stimolare la cooperazione in alcuni casi, ma nel settore cyber l’unica strada efficace è l’integrazione. Questo porta a una domanda fondamentale: quale livello di interdipendenza siamo disposti ad accettare in Europa? Un certo grado di dipendenza è inevitabile se vogliamo migliorare l’efficienza e rafforzare la sicurezza comune.
Infine, un elemento spesso sottovalutato riguarda la formazione: in Europa mancano scuole, università e aziende in grado di sviluppare e trattenere talenti nel settore tecnologico e della cybersecurity. Senza investimenti mirati su competenze e ricerca, il divario con altre potenze continuerà a crescere” .
On.Borghi, Eurobond, dual use: secondo lei stiamo andando nella giusta direzione?
“Prima di tutto, è fondamentale chiarire di cosa stiamo parlando ed evitare interpretazioni sfocate. Stiamo costruendo uno scudo, ma serve anche un braccio: la politica. Se non inquadriamo il momento attuale in una prospettiva storica e ci limitiamo a una logica di azione-reazione, rischiamo di ripetere gli errori del passato e di perdere di vista la strategia complessiva.
Quella che riguarda la cyberdefence è, prima di tutto, una scelta politica. L’Unione Europea è uno strumento che può fare politica attraverso i trattati. Quest’anno ricorre il 75º anniversario del piano che avrebbe dovuto dare vita alla Comunità Europea di Difesa, poi affossato dai francesi con un’impostazione populista. Se crediamo davvero nei valori europei, nella tutela del diritto e della democrazia, dobbiamo dotarci di uno scudo per difendere questo patrimonio. Su questo tema è necessario aprire un ampio dibattito politico.
E qui sorge una domanda cruciale: fino a quando l’Italia potrà rimanere impermeabile a ciò che le accade intorno? Gli altri Paesi stanno andando avanti. Si sta delineando un asse strategico Berlino-Parigi-Varsavia, e Londra sta riallacciando i rapporti con l’Europa. Vogliamo essere parte di questo processo o limitarci a guardare dal balcone? ” .
On.Bicchielli: resilienza digitale, l’Italia sta facendo abbastanza?
“Il tema della cybersicurezza è ormai centrale, ma ciò che emerge con chiarezza è che la questione rimane in gran parte culturale. Che cosa significa davvero difendere la digitalizzazione? Non basta proteggersi: è necessario dotarsi di strumenti adeguati per rispondere attivamente alle minacce.
Il progetto di legge sulla cybersicurezza rappresenta un passo importante, perché riporta questa tematica al centro del dibattito e dell’azione politica. Tuttavia, resta da capire se le misure previste saranno sufficienti per colmare il divario con altri Paesi e garantire una resilienza digitale all’altezza delle sfide attuali “.
On.Alfieri, parliamo di dipendenza da tecnologie estere, ci sono progressi?
“Il cyberspazio non conosce confini, e per affrontare le minacce digitali servono non solo strumenti e risorse, ma anche procedure efficaci. È fondamentale informare l’opinione pubblica su ciò che sta accadendo: lo scorso anno si sono registrati oltre 50.000 attacchi informatici, un dato che incide direttamente sulla qualità della nostra democrazia.
Le democrazie europee sono abbastanza resilienti per affrontare questa sfida? Dobbiamo investire molto di più, non solo nella difesa militare tradizionale, ma anche nel capitale umano e nella cybersicurezza. La vera questione oggi è come riorientare le risorse, incentivare la collaborazione industriale e rafforzare la capacità strategica dell’Europa. È una partita che riguarda l’intero sistema Paese e che non possiamo permetterci di perdere “.