Quando abbiamo letto i risultati del sondaggio condotto da Dimensional Research su 663 professionisti IT esperti di java raccontato da DevOps.com ci è sembrato come questo fosse in ritardo di almeno tre anni.
Già, perché nel lontano 2018, dopo che Oracle aveva annunciato l’introduzione della versione a pagamento per usi commerciali dell’ambiente JDK di Java, la reazione attesa era proprio quella: una migrazione di massa verso l’alternativa open-source, ossia OpenJDK, la quale curiosamente ha tra i suoi maggiori contributori proprio Oracle.
In realtà nell’immediato non si verificò nulla di tutto questo. Chiaramente il modello a subscription avviato da Oracle aveva l’obiettivo di favorire gli introiti, soprattutto quelli derivanti dalle aziende di classe enterprise, le quali pur di avere supporto ed utilizzare un prodotto certificato erano comunque convinte a versare l’obolo.
Cosa è cambiato quindi per rendere questa notizia nuovamente di attualità?
Il sondaggio, di cui parla anche FossForce, certificata quella che senza mezzi termini viene definita un’emorragia di utenti. L’83% degli intervistati ha intenzione di migrare le proprie applicazioni a OpenJDK, il 25% lo ha già fatto e, questa è la parte certamente più indicativa, per il 53% la ragione principale della migrazione sono i costi.
L’esodo è in corso almeno dal 2023, quando Oracle ha apportato un correttivo importante ai prezzi di Java. Con il nuovo schema, agli utenti aziendali viene addebitato un costo in base alle dimensioni dell’azienda, in particolare in base al numero di dipendenti (che include lavoratori part-time e appaltatori).
Quindi non è il numero di utenti che utilizza effettivamente il prodotto a determinare quanto un cliente paga, ma quanto l’azienda è grande, pertanto ogni nuova assunzione aumenta il costo dovuto ad Oracle, o lo farà al momento del rinnovo della licenza.
Si capisce bene come, lato azienda, veder lievitare i propri costi unicamente in base alla propria dimensione, nonostante tutte le garanzie derivanti la subscription Oracle, possa innescare una revisione dei propri investimenti. Anche perché, a conti fatti, le differenze operative tra Java SE ed OpenJDK sono irrilevanti per la stragrande maggioranza dei workload.
Insomma, una vale l’altra, perciò quali giustificazioni rimangono alle aziende per continuare a spendere cifre su subscription che, da un momento all’altro, possono aumentare smisuratamente di prezzo?
Chissà se in Oracle si sono posti il problema di quella che è un’antica regola del mercato: a parità di prezzo vince la qualità, mentre a parità di qualità vince chi costa meno, o chi non costa per nulla, come in questo caso.
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
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