Nell’evoluzione dei processori informatici, l’architettura Itanium di Intel rappresenta un capitolo significativo, ed ha la particolarità di esser stato caratterizzato tanto da obiettivi ambiziosi, quanto allo stesso tempo da limiti insuperabili.
Introdotta nel 2001 come una promessa rivoluzionaria nell’ambito dei microprocessori, l’architettura Itanium doveva ridefinire il panorama dell’elaborazione dati in termini di prestazioni, scalabilità e versatilità. Tuttavia, nonostante gli sforzi e gli investimenti estremamente considerevoli, Itanium si è rivelata un fallimento a lungo termine, tanto da vedere Intel rinunciare a nuovi sviluppi sull’architettura già dal 2013 e dal vendere l’ultimo chip di questo tipo nel 2017.
Per capire, l’ultima versione di Microsoft Windows compatibile all’architettura è stata pubblicata nel 2020.
Quindi sì, stiamo parlando di una tecnologia morta.
Talmente morta che in questo commit ad opera di Arnd Bergmann, di cui è stato fatto pull nel Kernel da Linus Torvalds per la versione 6.7, l’architettura IA-64 è stata totalmente rimossa dai sorgenti.
Questo evento porta a cogliere l’occasione per analizzare le ragioni del fallimento di un’intera architettura di processori che era stata spinta a dismisura nelle sue fasi iniziali. Itanium venne progettato per offrire prestazioni superiori attraverso un’ampia pipeline di esecuzione e una vasta gamma di istruzioni, puntando ad accelerare i carichi di lavoro critici. L’architettura doveva essere altamente scalabile, consentendo di costruire sistemi di elaborazione altamente potenti, adatti alle esigenze di grandi aziende e istituzioni. Con un’architettura orientata al software, Itanium doveva garantire la flessibilità necessaria per eseguire una vasta gamma di applicazioni, indipendentemente dalla piattaforma.
Il problema fu che ben presto ci si accorse di come l’architettura portasse con sé anche tutta una serie limiti che si rivelarono insuperabili. Uno dei problemi principali di Itanium era la mancanza di compatibilità con il software x86 esistente, che rese sin da subito difficile la migrazione verso la nuova architettura, costringendo molte aziende a riscrivere o ricompilare le loro applicazioni, un processo costoso e complesso.
Nel frattempo, i concorrenti di Intel come AMD stavano sviluppando soluzioni x86 avanzate che offrivano prestazioni competitive a un costo inferiore, il che ha comportato ritardi nello sviluppo che ne hanno minato la presenza sul mercato.
L’architettura Itanium ha visto una lenta e costosa adozione da parte di alcune aziende, soprattutto nei settori dell’alta prestazione e dei mainframe, senza però mai riuscire a diventare una forza dominante nell’industria informatica.
È utile notare come il fallimento di Itanium abbia insegnato importanti lezioni sull’importanza della compatibilità, dell’adattabilità e della risposta alle esigenze del mercato.
Si vedranno fallimenti simili in futuro? Quel che è certo è che da Linux 6.7 di Itanium non vi sarà più traccia.
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
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