Voglio essere onesto sin da subito: non ho mai giocato l'originale Silent Hill 2, e mi dispiace non avere quei ricordi nostalgici da condividere, come invece ho fatto con Final Fantasy VII Rebirth.
Questo remake è la mia prima volta, il mio primo incontro con James Sunderland e la sua discesa nell'abisso di Silent Hill. E forse, proprio per questo, la mia prospettiva sarà un po' diversa rispetto a quella di un veterano della saga.
Mi sono immerso in questo remake per PC (versione da noi testata) e PlayStation 5 con occhi vergini, senza preconcetti, pronto per essere colpito o deluso, e ciò che ho trovato è un'esperienza che si regge su un equilibrio un po' precario tra vecchio e nuovo.
Scheda videogioco
- Publisher Konami
- Sviluppatore Bloober Team
- Genere Survival Horror
- Numero giocatori 1
- Lingua Testi in italiano
- Disponibile su
Vi siete mai guardati dentro?
James Sunderland è un uomo distrutto, spezzato dal dolore per la perdita della moglie, Mary, morta tre anni prima a causa di un male incurabile. Eppure, misteriosamente, un giorno riceve una lettera: è firmata proprio da Mary, che lo invita ad incontrarla nella cittadina di Silent Hill. Questo è l'incipit di una storia che non parla solo di orrore tangibile, ma soprattutto di un incubo interiore. James non sta semplicemente cercando sua moglie, sta affrontando una città che sembra plasmata dalla sofferenza che si porta dentro.
È come se Silent Hill fosse uno specchio deformato dei tormenti più profondi del protagonista. Ogni strada avvolta dalla nebbia, ogni creatura contorta che incrocia il suo cammino, sembra rappresentare un riflesso della sua psiche.
La bellezza narrativa del gioco sta nel modo in cui gli orrori esterni sono legati a doppio filo con il dramma interiore di James, e mentre attraversi la città nei suoi panni, è impossibile non sentire il peso crescente delle sue emozioni soffocanti.
C'è qualcosa di strano ogni volta che incontri un personaggio, vivi un evento, scopri un dettaglio, ma quella punta di stranezza incuriosisce e rapisce.
Insomma, la trama di Silent Hill 2 è un viaggio introspettivo davvero emozionante. Non si tratta solo di risolvere un mistero, ma di comprendere anche cosa sta tormentando James e perché la città sembra tirare fuori i suoi demoni peggiori.
A proposito di James, mi è piaciuta molto la sua caratterizzazione: ogni suo sguardo tradisce una stanchezza che va oltre la fisicità. Sembra morto dentro, e si muove attraverso la nebbia di Silent Hill con un'espressione quasi vuota, impassibile anche di fronte agli orrori che gli si parano davanti.
Ovviamente, rispetto all'originale, la narrazione si poggia ora su nuovi filmati di qualità superiore, con espressioni facciali realistiche, trasmettendo emozioni sottili con una profondità che prima semplicemente non era possibile dipingere.
Il doppiaggio in inglese è professionale e ben recitato, e ci sono nuove sequenze che arricchiscono e approfondiscono ulteriormente la trama.
Questo rende l'esperienza narrativa più coinvolgente e moderna, dando un respiro diverso alla drammaticità della storia e amplificando l'impatto emotivo delle scene chiave.
Tuttavia, proprio qui si inserisce uno degli aspetti che mi ha convinto meno: lo stacco tra i filmati e il gameplay. Se oggi siamo abituati a transizioni fluide che passano in maniera impercettibile dal filmato alle sequenze di gioco, qui spesso si utilizza la nebbia, o una semplice transizione di nero, come escamotage per coprire questi cambi di scena. Un dettaglio che sa un po' di vintage, ma non in senso positivo: spezza un pelino l'immedesimazione e ti ricorda bruscamente che stai giocando un videogioco, interrompendo l'intensità emotiva che stavi percependo fino a quel punto. È una boccata d'aria, certo, ma una di quelle che ti fa uscire dall'illusione, piacevole, dell'orrore.
Atmosfera e design: una lezione di tensione
Si ritorna però con i piedi per terra nel gameplay, con una nuova prospettiva dietro alle spalle del personaggio proprio come nel nuovo corso dei rifacimenti di Resident Evil, da cui però eredita il giusto.
La progressione narrativa, infatti, rimane intrecciata direttamente agli enigmi, vero motore del gameplay, e meno all'azione. Non ci sono molte distrazioni, non ci sono raccolte di materiali o crafting alla The Last of Us o allo stesso Resident Evil.
Qui non si perde tempo a cercare oggettini, perché la gestione dell'inventario è ridotta all'essenziale, e l'esplorazione, molto vecchio stampo, ti regala la vera ricompensa sotto forma di documenti che approfondiscono la trama, piccoli, piccolissimi frammenti che alimentano la tua curiosità e ti spingono ad andare avanti. Anche la stessa navigazione la si gestisce con una mappa che potete tirare fuori all'occorrenza, ed è molto ben leggibile.
James segna automaticamente con la sua penna i punti d'interesse, senza però suggerirvi troppo, il che mantiene un buon equilibrio tra orientamento e scoperta. È un sistema vecchio stampo che funziona bene e rende l'esplorazione piacevole, anche se a volte il level design gioca brutti scherzi.
Mi è capitato più volte di incrociare porte che avrei voluto aprire, strade che sembravano percorribili ma erano bloccate artificialmente.
Questo tipo di limitazioni, anche se comprensibili, tolgono parte della libertà di esplorazione e finiscono per interrompere quel senso di scoperta che dovrebbe essere costante.
In un gioco che ti invita a perlustrare ogni angolo, queste barriere finiscono per essere una piccola frustrazione, ma fa tutto parte di un disegno all'ombra di un'atmosfera che è quella di un horror d'altri tempi, e lo senti mentre vaghi in luoghi oscuri, illuminati solo dalla torcia. La luce si riflette su scenari d'orrore che, devo ammetterlo, sono splendidamente realizzati, pieni di dettagli che catturano e inquietano come, senza iperboli, solo un horror eccellente sa fare.
Nonostante sia meno "statico" rispetto alla versione originale, questo remake mantiene quella lentezza che contribuisce alla tensione, che ti costringe a muoverti con cautela, a esplorare con un certo timore: l'ambiente pecca di interattività, questo è vero, ma la cura degli scenari è notevole.
Ad esempio, c'è stato un momento che mi ha davvero colpito: in un preciso momento la nebbia si è fatta più densa, il vento si è alzato e ha iniziato a sollevare piccoli oggetti.
In quell'istante ho realizzato come quella stessa nebbia, che su PS2 serviva da geniale escamotage per mascherare i limiti hardware, ora viene sfruttata per mostrare la potenza dei nuovi effetti volumetrici, sempre però al servizio dell'atmosfera. E questo è il focus costante del gioco, lo si percepisce anche e soprattutto nei dettagli più piccoli.
Ricordo quando, perso nella nebbia di Silent Hill, completamente disorientato, non riuscivo a trovare la direzione giusta. Poi ho sentito il suono lontano di un scaccia-sogni in movimento e, grazie ad un intelligente gioco di luci e ad una porta leggermente socchiusa, ho capito che quella era la strada da seguire. Sono queste piccole perle di design che ti fanno capire di essere davanti ad una produzione fatta da chi conosce il genere a fondo, non da un mestierante.
Oltre i combattimenti: l'anima di Silent Hill 2
Certo, il sistema di combattimento non è il massimo della raffinatezza. Non è fluido, è macchinoso, soprattutto negli scontri corpo a corpo.
Ogni volta che mi trovavo di fronte a un nemico, la mia prima reazione non era quella di volerlo affrontare, ma di sperare di potermene sbarazzare il più velocemente possibile per evitare l'eventuale legnosità.
Non fraintendetemi, non siamo al livello di un The Callisto Protocol, dove ogni scontro sembrava un ballo schematico che viaggia sui binari, ma le schivate, i colpi, tutto dà l'impressione di essere legnoso. Non c'è quella visceralità, quella fisicità brutale che permeava The Last of Us Parte 2, per esempio.
C'è un'imprevedibilità di fondo nelle lotte che in prima battuta stupisce, ma più in là la magia tende ad assopirsi. Ho apprezzato il fatto che alcuni nemici tendano a nascondersi, a camuffarsi nell'ambiente, a rialzarsi dopo essere stati sconfitti, ma la rigidità del corpo a corpo, malgrado sia ovvio che debba contribuire al renderti la vita difficile dato il contesto, avrebbe potuto godere quantomeno di una realizzazione tecnica migliore, almeno negli impatti e nelle collisioni.
E non è una sorpresa, dopotutto. Il combat system non è mai stato il punto forte di Bloober Team, e si vede. Ma non è quello il punto. Per quanto i combattimenti possano risultare imperfetti, nel contesto del gioco, non rompono l'immersione, perché il cuore dell'esperienza non è lì. È nell'atmosfera opprimente, nella narrativa disturbante e in quel classicismo che non è vecchio, ma solido.
È come se avessero scelto una direzione così fedele da mantenere in parte intatta la macchinosità e anche le possibilità, perché segue una filosofia tendente al "less is more": per dire, le armi da fuoco si contano sulle dita di una mano (sono appena tre), e le tipologie di nemici, seppur ce ne siano di nuove rispetto all'originale, sono davvero poche.
Nella prima metà del gioco, mi è piaciuto questo approccio minimalista, e non poco. Il focus è chiaramente sull'esplorazione e sugli enigmi, e il fatto che non ci sia tanta carne al fuoco contribuisce a far emergere quel senso di isolamento e vulnerabilità che è alla base di un buon survival horror.
L'esperienza si mantiene su un alto livello anche nella seconda metà, ma qui cominciano a sentirsi i limiti di questo minimalismo. Inizia a mancare qualche oggetto e qualche nemico in più, o meglio, qualche nuovo approccio per affrontarli. I nemici tendono a comportarsi più o meno sempre nello stesso modo: sono pericolosi solo quando ti si avvicinano, ma anche in quei momenti gli scontri risultano abbastanza schematici. Il gioco cerca di mascherare questa ripetitività con dei piazzamenti più insidiosi, ma alla fine la soluzione è quasi sempre la stessa: schivi, risparmi i colpi e li abbatti con un'arma contundente, e se si mette male spari.
Una volta compreso il sistema lo si digerisce, anche se il sistema di puntamento del corpo a corpo fatica a gestire situazioni con più avversari, e in quei casi è meglio scappare piuttosto che combattere. Il gioco sembra consapevole di questi limiti, tanto che gli scontri sono spesso isolati.
Nella seconda parte del gioco, però, ho percepito il bisogno di qualcosa in più in termini di armi e di potenziamenti. Il gioco è lungo – ci ho messo circa 19 ore per completarlo – e, nonostante la grande attenzione posta nella stesura degli enigmi e nel ritmo generale, sarebbe stato utile un po' più di varietà nell'azione.
Del resto, spesso si torna su strade già percorse per sbloccarne di nuove, e in certi momenti ho sentito la mancanza di qualche creatura inedita che potesse spaventarmi, o di qualche oggetto nascosto diverso dalle solite cure, che mi desse un vantaggio più interessante o strategico.
Inoltre, si può scegliere la difficoltà sia dei combattimenti che degli enigmi. Io ho affrontato tutto a livello "normale" e, malgrado non sia abilissimo nei survival horror, l'ho trovato piuttosto facile. Per me non è stato un problema, ma l'abbondanza di bevande salutari e siringhe curative potrebbe far storcere il naso ai puristi del genere, che cercano una sfida più rigorosa.
Se cercate un'esperienza più cruda, meglio partire con "difficile". Il remake tra l'altro include nuovi finali oltre a quelli originali, per un totale di otto diversi.
Piccola nota a margine, ma dovuta, sul comparto sonoro, che è ottimo e contribuisce in maniera tangibile a potenziare l'atmosfera opprimente e disturbante del gioco. Lo studio dei suoni ambientali è curato nei minimi dettagli: ogni passo, cigolio, e fruscio nella nebbia sembra portare con sé un senso di minaccia invisibile, che aumenta l'ansia e l'immersione. Anche le musiche sono ben dosate, appaiono raramente, ma quando lo fanno riescono a rafforzare quel senso di straniamento ed inquietudine costante che permea l'intera esperienza.
Altri contenuti sui videogiochi
Il codice per questa recensione è stato fornito da Konami, che non ha avuto un'anteprima di questo contenuto e non ha fornito alcun tipo di compenso monetario.
Giudizio Finale
Silent Hill 2 Remake
Bloober Team ha centrato il punto. L'operazione di Silent Hill 2 Remake può dirsi compiuta perché, pur con tutte le migliorie grafiche e tecniche, sembra di giocare un titolo d'altri tempi, ma con le esigenti mani di oggi. È un progetto tutt'altro che perfetto, specialmente per quanto riguarda i combattimenti, la varietà dell'azione e le animazioni, ma vale la pena sforzarsi nel chiudere un occhio, perché tutto il resto è quello che cercate da un buon horror: atmosfera, narrativa e quel pizzico di classicismo che non è solo nostalgia, ma anche grammatica.
Voto finale
Silent Hill 2 Remake
Pro
- Lavoro certosino nell'atmosfera e nella narrazione
- Eccellente comparto sonoro
- Enigmi ben congegnati e bilanciati
- Molto longevo
Contro
- Sistema di combattimento macchinoso
- Limitata varietà di nemici, oggetti e approcci
- Alcune animazioni legnose
- La transizione tra filmato e gameplay non sempre elegante
Giorgio Palmieri Da oltre 10 anni scrive sulle pagine del network di SmartWorld. Adora la tecnologia come Winnie The Pooh con il miele. Ama scrivere di videogiochi e si occupa di info-commerce, ed è anche particolarmente bello. Almeno, così dice sua madre.