Secondo un report pubblicato da TeleGeography, quest’anno si dovrebbero stendere in tutto il mondo 140 mila km di nuovi cavi sottomarini, tre volte il dato relativo a cinque anni fa.
I cavi sottomarini costituiscono la spina dorsale di Internet e trasportano il 99% del traffico dati mondiale. Un’infrastruttura che cresce sempre di più, ma che nel Pacifico sta assumendo le caratteristiche di una guerra fredda tra USA e Cina. Entro il 2028 Pechino rappresenterà il 7% di questo mercato, in calo dal 9% del 2023.
Dal 2021 al 2025 le grandi aziende tecnologiche americane hanno partecipato alla posa di 220 mila km di cavi sottomarini intercontinentali, il 48% del totale dei nuovi progetti, in aumento del 15% rispetto al quinquennio precedente. Il posizionamento geografico dei cavi sottomarini influisce anche sull’ubicazioni dei data center. La società statunitense di servizi immobiliari Cushman & Wakefield ha stimato che la Cina rappresenterà il 7% dei ricavi globali dei data center entro il 2028, in calo rispetto al 9% del 2023.
Nello stesso periodo, gli Stati Uniti dovrebbero vedere la loro quota scendere dal 49 al 38%, mentre il Sud-Est asiatico sperimenterà al contrario una crescita dal 9 all’11%, grazie ai nuovi progetti di dispiegamento di cavi.
Avere o meno a disposizione queste infrastrutture di rete significa per un Paese, le sue industrie e il sistema economico in generale, avere la possibilità di pianificare una forte e duratura crescita, creare lavoro, attrarre investimenti, migliorare i livelli di competitività su scala mondiale, ma anche esercitare una certa influenza sui Paesi limitrofi.
La guerra fredda dei cavi tra USA e Cina
Rispetto al passato, però, nella geografia dell’infrastruttura, la Cina appare più marginalizzata rispetto al passato, con un numero di progetti minore: si attendono solo tre pose di cavi entro il 2024, meno della metà del numero annunciato da Singapore per fare un esempio. Un rallentamento che avrà i suoi inevitabili effetti sulla costruzione di data center nel grande Paese asiatico.
Forse in pieno Oceano Pacifico è in atto la guerra fredda dei cavi sottomarini tra Stati Uniti e Cina, come ha suggerito il Direttore della ricerca di TeleGeography, Alan Mauldin.
Un mese fa a Washington, in occasione dell’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il Primo ministro giapponese, Fumio Kishida, Google ha annunciato il progetto da 1 miliardo di dollari per costruire due cavi sottomarini per collegare Giappone, Guam e Hawaii: “per migliorare l’infrastruttura di rete e le comunicazioni digitali tra Stati Uniti, Giappone e le nazioni insulari nel Pacifico”, in chiave ovviamente di contrasto all’espansione cinese nell’area.
Questo sta limitando enormemente l’accesso cinese a questa rete di cavi così centrale per le telecomunicazioni e il traffico di dati, tanto che entro il 2025 solo tre cavi sottomarini per collegare Hong Kong dovrebbero essere portati a termine, dopo di che non ce ne sono altri in agenda.
Nel complesso, la domanda di traffico dati tra gli Stati Uniti e l’Asia resta forte. Dal prossimo anno, è prevista la posa di quattro cavi verso il Giappone e sette verso Singapore. Nove cavi, inoltre, saranno posati verso Guam, a metà strada tra la terraferma degli Stati Uniti e il sud-est asiatico.
Le aziende statunitensi svolgono un ruolo chiave in questo mercato e stanno facendo di tutto per contenere, marginalizzare ed indebolire l’influenza cinese, ha dichiarato a asia.nikkei.com un funzionario di una società di gestione dei cavi.
La sicurezza dei cavi sottomarini vero nodo cruciale della tecnologia
“Dobbiamo garantire la sicurezza delle nostre informazioni, l’impenetrabilità e la gestione in qualsiasi condizione del traffico informatico e ci sarà un progetto ad hoc che si baserà anche sulla sicurezza dei cavi sottomarini e sulla gestione dei dati in maniera consapevole in base ai criteri più evoluti di cybersecurity e di protezione”, ha dichiarato il viceministro Edoardo Rixi a margine di un evento a Genova. Rixi ha ricordato “che in un sistema attuale con le crisi geopolitiche e un traffico globale sempre più precario a causa dell’instabilità abbiamo bisogno di proteggere oltre alle infrastrutture fisiche anche quelle digitali”.
Lo scorso 24 febbraio quattro cavi sottomarini sono stati danneggiati nel Mar Rosso. L’accaduto, secondo i dati della società di telecomunicazioni di Hong Kong HGC Global Communication, ha bloccato almeno il 25% del traffico Internet tra l’Asia e l’Europa.
Il 26 febbraio, poi, i media israeliani hanno diffuso la notizia secondo la quale i danneggiamenti sarebbero riconducibili alle rappresaglie portate avanti dagli Houthi, i ribelli yemeniti filo iraniani che, per spirito di solidarietà verso il popolo palestinese, stanno compiendo nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden attacchi missilistici e atti di sabotaggio contro navi che ritengono collegate a Israele.
La sicurezza di queste infrastrutture evidenzia la complessità della materia e l’importanza di un’attenzione da parte di una molteplicità di attori e dipartimenti governativi.