Per milioni di utenti al mondo, Google è sinonimo di internet. È il sito che si apre quando avviano il loro browser preferito, quando prendono in mano il loro telefono e vogliono sapere qualcosa, o anche semplicemente quando cercano un'immagine.
Molti potrebbero pensare che la ragione sia semplicemente che Google è il miglior motore di ricerca al mondo, ma questo è un concetto piuttosto vago e di non facile misurazione. Quello che non è vago però sono i miliardi di dollari che Google paga ogni anno per essere lì. Enfasi su "miliardi", per ribadire che non è un errore.
Va da sé quindi che se essere in prima fila costa così tanto, la ricerca Google deve generare utili che valgano l'investimento. E le conseguenze di questo dilemma le stanno pagando proprio gli utenti. Letteralmente.
Prima di proseguire una nota importante. Le ricostruzioni che seguiranno si basano su degli articoli scritti da Ed Zitron (già fondatore di un'agenzia di PR che lavora nel mondo della tecnologia) nella sua mailing list ma, al netto delle considerazioni personali, diverse informazioni sono suffragate da documenti ormai pubblici, facenti parte di un caso dell'antitrust americana contro Google.
Ben Gomes: l'uomo che credeva in Google
Ben Gomes è stato l'uomo a capo del team di ricerca di Google per diversi anni, focalizzandosi sull'evoluzione e il miglioramento dei risultati di ricerca, com'è logico aspettarsi da un'azienda che è nata proprio grazie a quello. Ma all'inizio del 2019 qualcosa è cambiato.
Il 5 febbraio di quell'anno, Jerry Dischler, allora vicepresidente e direttore generale della pubblicità di Google, e Shiv Venkataraman, allora vicepresidente di ingegneria, ricerca e pubblicità, lanciarono un "allarme giallo" in merito proprio alle entrate derivanti dalla ricerca.
Per dare un minimo di contesto, un "code yellow" non è un allarme generico, come forse il colore potrebbe far pensare. È una sorta di allerta massima, di oh mio Dio, corriamo ai ripari! E così fecero.
Già il giorno successivo, Gomes scrisse in una email (potete scaricarne il pdf da qui) di essere preoccupato che la crescita fosse la sola preoccupazione di Google come azienda, e che denaro e ricerca fossero troppo vicini.
Fatto sta che il 22 marzo 2019 il codice giallo finì. Gomes ne fu contento, e si congratulò con tutto il team, mentre Prabhakar Raghavan, allora responsabile della pubblicità di Google e "vera mente" dietro il codice giallo, sminuì la cosa.
Casualmente però, già a maggio 2019, Google cambiò il modo in cui le pubblicità venivano visualizzate sui dispositivi mobili, rendendole più simili ai normali risultati di ricerca; modifica che arrivò anche su desktop nel gennaio successivo. E pochi mesi dopo, Gomes fu destituito proprio a favore di Raghavan.
La replica di Google
L'articolo di Zitron si dilunga poi moltissimo contro Raghavan e la sua precedente esperienza lavorativa in Yahoo (che avrebbe contribuito ad affossare), e anche contro Sundar Pichai, CEO di Alphabet, reo di averlo assunto.
Proprio contro Pichai stesso, Zitron si era già scagliato in passato, affermando senza tanti giri di parole che Google dovrebbe licenziarlo, quindi è chiaro che i suoi pensieri circa la rotta assunta dall'azienda siano radicati da tempo.
La replica di Google è quindi arrivata rapida, ma curiosamente non è stata indirizzata a Zitron stesso, bensì a Barry Schwartz di Search Engine Roundtable, che aveva a sua volta parlato della vicenda.
In breve, come prevedibile, Google ha negato fermamente che i risultati di ricerca siano condizionati dalla pubblicità, e che l'aggiornamento avvenuto a marzo 2019 non ha in nessun modo riportato su dei siti che erano stati precedentemente penalizzati.
Ovviamente Zitron ha replicato a sua volta e forse il "battibecco" andrà ancora avanti, ma non è tanto quello che ci interessa, quanto la realtà dei fatti che gli utenti possono sperimentare ogni giorno.
L'esperienza di ricerca nel 2024
Cosa condizioni realmente i risultati di ricerca è difficile dirlo, e anche se lo sapessimo sarebbe un segreto così prezioso che di certo non lo trovereste scritto. Piuttosto la domanda che potete porvi, come utenti, è un'altra: com'è cambiata per voi la ricerca Google?
Quante pubblicità ci sono prima di arrivare al primo vero risultato organico? Quanti box con prodotti in vendita, informazioni aggiuntive, video, "le persone hanno chiesto anche", notizie, e altro vi costringono a scrollare in basso se volete trovare un sito che sia lì per i suoi meriti (cosa sulla quale si potrebbe poi discutere a lungo)?
Perché se più o meno vi sembra che la pagina dei risultati di ricerca non sia cambiata negli ultimi anni, allora va tutto bene. Ma se invece avete notato tutte le "distrazioni" cui abbiamo accennato, ecco allora non importa tanto di chi sia la colpa, ma forse significa che qualcosa di vero nel racconto di Zitron c'è. E il prezzo lo state pagando anche voi (oltre a noi editori, ma questo è un altro discorso, personale, che non affronteremo questa volta).