Huawei sarà in "modalità sopravvivenza" da tre anni, ma questo non vuol dire che abbia gettato la spugna, anzi. Dalla Cina è infatti arrivata la notizia che sia rientrata nel business dei chip 5G, il che la rimetterebbe in corsa per "competere" con i maggiori produttori di smartphone.
E l'intenzione è questa: produrre un dispositivo 5G di fascia alta entro l'anno e mostrare al mondo di potersi rialzare. Ma basterà? La situazione è questa: fino al 2019, Huawei era uno dei maggiori produttori al mondo di smartphone: i suoi dispositivi rivaleggiavano con i top di Apple e Samsung, e anche le proposte nella fascia media e bassa erano apprezzate per le loro prestazioni e design.
Poi, con l'arrivo di Trump, i governi americani ed europei hanno dichiarato Huawei un rischio per la sicurezza e ne hanno impedito l'accesso agli strumenti per la produzione dei chip, oltre che al Play Store (ma di questo parleremo più avanti).
Il produttore è crollato. Senza chip 5G e Play Store, è passato da un fatturato di 67 miliardi di dollari nel 2020 alla metà nel 2021, e praticamente l'unico mercato è rimasto quello cinese (dove la sua quota è comunque scesa al 10%).
E non si può dire che non ci abbia provato. Huawei ha sviluppato un proprio sistema operativo basato su Android, HarmonyOS, i propri servizi sostitutivi, Huawei Mobile Services, e persino un app store parallelo, Huawei App Gallery, per sostituire iGoogle Play Services e Play Store.
Gli ultimi prodotti, certamente encomiabili come P60 Pro, sono però azzoppati, e se il 5G da noi sembra l'ultimo dei problemi, è comunque un inizio. Secondo Reuters, infatti, la società cinese sarebbe pronta a tornare a produrli grazie al processo di produzione N+1 di SMIC (Semiconductor Manufacturing International Co), il più grande produttore di chip cinese. Ma com'è possibile? SMIC, infatti, come altre società cinesi, non è autorizzata a comprare le macchine EUV (Extreme ultraviolet lithography, litografia ultravioletta estrema) da 300 milioni di dollari l'una che servono a incidere nel wafer di silicio i modelli di circuiti su cui sono basati miliardi di transistor per creare circuiti integrati.
Queste macchine vengono prodotte da una società olandese, ASML, che però ha potuto vendere a SMIC delle macchine meno potenti, DUV (Deep ultraviolet lithography), che quest'ultima ha modificato per la produzione di chip con processo minore. Nel frattempo, Huawei a marzo è riuscita a fare progressi per il software EDA (electronic design automation), necessario per produrre i progetti per i chip prima che siano prodotti in serie nelle fabbriche, ma con il limite di un processo di produzione 14 nm. Ora, grazie al processo di produzione N+1 di SMIC, in qualche modo è riuscita a ottenere l'equivalente di 7 nm, il che consentirà di produrre chip 5G.
Ci sono però dei problemi. Prima di tutto, la resa sembra che sia solo del 50%, il che significa che, secondo un ricercatore di smartphone in Cina, possono essere realizzate solo da due a quattro milioni di unità, mentre un'altra azienda ha stimato che potrebbe essere possibile produrre fino a dieci milioni di unità.
Ma comunque con costi piuttosto elevati, e i concorrenti, Samsung e TSMC, possono produrre chip a 3 nm.
Ma è un inizio, e Huawei sarebbe pronta a montare questi chip sull'ottimo P60 Pro per dare già filo da torcere a Apple e Samsung. Tant'è che sull'onda dell'entusiasmo avrebbe anche aumentato le previsioni di spedizioni di smartphone per il 2023 da 30 a 40 milioni di unità, e senza fare riferimento a smartphone 5G (dai 240 milioni del 2019, giusto per fare un paragone).
A questo punto, resta l'ultimo problema, il più grande, e che spiega perché all'inizio abbiamo messo la parola "competere" tra virgolette. Huawei non avrà comunque accesso al Play Store, quindi questo discorso le permetterebbe di confrontarsi sì ad armi pari con gli altri produttori, ma solo in Cina, dove i servizi Google non contano niente.
Da noi, 5G o 4G, senza servizi Google avrà difficilmente mercato. Basterà per uscire dalla "modalità sopravvivenza"? I fan del marchio scommetteranno di sì.