La mia prima volta a Gamescom mi ha fatto capire quanto sono vecchio

3 weeks ago 53

Crescere negli anni '90 ha avuto un fascino unico, specialmente per chi, come me, è sempre stato innamorato dei videogiochi. Ricordo ancora la trepidazione con cui aspettavo l'uscita delle riviste specializzate: sono cresciuto tra Giochi per il mio ComputerPS Mania e tante altre che puntualmente mi comprava mio papà all'edicola di fiducia, che ora non c'è più. Sfogliavo avidamente le pagine patinate, assaporando l'odore di carta stampata di ogni anteprima, ogni recensione, ogni indiscrezione su quello che sarebbe stato il prossimo capolavoro.

Parola dopo parola, testo dopo testo, dentro di me sbocciava un sogno, che quasi assumeva i connotati di un'ossessione: un giorno, avrei voluto lavorare nel mondo dei videogiochi. In questo sogno, la fiera dell'E3 a Los Angeles, l'Electronic Entertainment Expo, era l'apice, la vetta più alta che si potesse raggiungere, in cui ogni novità, ogni rivelazione veniva accolta come una profezia.

Andare all'E3 significava entrare in un tempio sacro che ti dà lo status per far rosicare i tuoi amici.

Davvero, per me non era solo una fiera. Era un luogo mitico, un incontro tra il presente e il futuro dei videogiochi. Era lì che prendevano forma i desideri, dove le promesse venivano fatte e, talvolta, anche infrante. Il mio sogno era di farne parte, di essere lì, tra i fortunati che potevano toccare con mano ciò che per gli altri era solo immaginazione. Ma, come spesso accade nella vita, il tempo ha modificato i contorni di quel sogno. E l'E3, che per decenni ha rappresentato una parte importante della cultura videoludica, ha smesso di esistere, lasciando un vuoto difficile da colmare.

L'E3 è morto. La fiera che per me era il punto massimo del videogioco è stata chiusa per sempre, un colpo che ancora oggi stento a metabolizzare.

Mi sarebbe piaciuto andarci, anche solo una volta, per respirare quell'aria di esclusività e anteprime, ma il destino ha deciso in maniera del tutto diversa, oltre che inaspettata. Eppure, il mio sogno non si è infranto completamente.

Se l'E3 ha chiuso i battenti, c'è un'altra manifestazione che ha saputo prendere il suo posto nel mio immaginario, ovvero la Gamescom. Questo evento si tiene ogni anno a Colonia, in Germania, nel caldo mese di agosto, ed è la più grande fiera di videogiochi attualmente in Europa. E finalmente, dopo anni di attesa e fantasticherie, ho avuto l'opportunità di andarci (avete già letto le novità di ASUS?).

Vi starete giustamente chiedendo come è andata: ecco, devo ammettere che l'esperienza è stata travolgente, ma non del tutto in senso positivo. Mettetevi comodi perché sarà un bel viaggio, uno di quelli che mi ha cambiato, e che spero vi porti a riflettere.

Un meraviglioso luna park

Quando finalmente ho varcato le porte della Gamescom, il primo impatto è stato devastante. Era un universo a sé stante, un microcosmo pulsante di luci, colori, suoni. Gli stand, maestosi e imponenti, sembravano costruiti per impressionare, per farmi sentire piccolo davanti alla grandezza dell'industria videoludica, la stessa che mi aveva accompagnato da quando ero un marmocchio. Vederli dal vivo è stato come ritrovarsi in un enorme luna park, una festa visiva e sensoriale che supera di gran lunga qualsiasi video o foto.

C'erano angoli dedicati ad ogni tipo di esperienza: dalla mega statua di Goku per l'imminente lancio di Dragon Ball: Sparking! Zero, alle atmosfere oscure di Little Nightmares III, passando poi per un mega stand dedicato al misterioso Dark and Darker Mobile, che ha letteralmente monopolizzato la fiera per quest'anno.

Tuttavia, sotto la superficie di quella meraviglia, si nascondeva una consapevolezza nuova, oltre che inaspettata: le file, interminabili e stremanti, erano un test di resistenza.

La quantità di gente che popola la fiera è qualcosa da lasciare senza parole: fiumi, fiumi e fiumi di persone passeggiano tra gli stand, in un flusso inarrestabile a cui è impossibile dare una dimensione.

E per provare un gioco come si fa? Be', per prima cosa bisogna recarsi al banco dei bracciali e chiederne uno: vi sarà dato uno corrispondente alla vostra età, in base al documento fornito. Avete più di 18 anni? Bene, potete giocare tutti i titoli in fiera. Ah, poco importa se siete barbuti e con qualche capello bianco di troppo come me (che avevo tanto di pass stampa appeso al collo): verrete comunque cacciati dalla fila se non avete il bracciale al polso. Sì, l'ho provato sulla mia pelle: sono stato invitato ad uscire dalla fila di Little Nightmares III perché non avevo il bracciale 18+.

E poi? Dopo aver preso il bracciale ci si mette in fila, ovvio.

Un po' come succede in tutte le fiere, compresa l'affollatissima Milan Games Week. In Gamescom, però, il quantitativo di gente è triplicato. Per provare un solo gioco tra quelli in primo piano, come Assassin's Creed: Shadows o Star Wars: Outlaws, sono necessarie anche più di due ore. Due ore di attesa solo per pochi minuti di gioco, un sacrificio che avrei affrontato con entusiasmo in un'altra epoca della mia vita. Ma oggi, quelle attese mi sono apparse come un riflesso del tempo che scorre. Vedevo ragazzi, molto più giovani di me, affrontare le file con una pazienza che io non ho più, nemmeno per i titoli che attendo con ansia. Alcuni ragazzi si erano portati sgabelli, altri si stendevano per terra, cercando sollievo nel mezzo di un'attesa che sembrava infinita. E in quei momenti, tra un pensiero e l'altro, ho realizzato qualcosa di doloroso: non sono più lo stesso.

C'era un tempo in cui la mia passione mi avrebbe spinto a sfidare ogni ostacolo, a resistere fino all'ultimo per un assaggio di novità. Ora, però, quella passione sembra minuscola, offuscata da un senso di stanchezza che non avevo mai provato prima. Non era solo questione di affaticamento fisico (che c'era, lo ammetto), ma di una stanchezza dell'anima, quella che ti fa chiedere se tutto questo, in fondo, abbia ancora lo stesso significato di un tempo.

Ho iniziato a razionalizzare anche i videogiochi, quello che fino a non troppo tempo fa era il mio mondo, la mia comfort zone, fatta solo di emozioni. La mia mente ha cominciato a frullare pensieri aridi: mi sono chiesto perché aspettare ore in coda per provare Assassin's Creed Shadows, che sarà probabilmente molto simile ai predecessori e che, soprattutto, sarà protagonista di qualche iniziativa di Ubisoft per la prova gratuita.

Per non parlare poi dei giochi sulla piattaforma di Steam, che, grazie al rimborso effettuato entro 2 ore di gioco, ti consentono di provare un qualsiasi titolo e di disinstallarlo nel caso non sia nelle proprie corde. E i titoli di Xbox? Ma chissenè, tanto sono al day one su Game Pass! Ma cavolo... questi pensieri sono da videogiocatore senz'anima.

Vuoi mettere il piacere dell'attesa? L'ebbrezza di provarlo lì in fiera? Di essere tra i primi a provare il gioco che i tuoi amici attendono? E allora ci ho provato, ho detto "sì" al me bambino e mi sono forzato a fare la fila per provare almeno uno dei titoli che attendo di più, cioè Little Nightmares III. Delle due ore di attesa previste dai cartelli posizionati in fila, ne ho dovuta aspettare "solo" una e mezza per poter mettere le mani su una demo che è durata circa 10 minuti, ad occhio e croce.

Dopo averla completata ho posato il controller e la PR mi ha fatto i complimenti, perché sono stato il più rapido in assoluto a terminare la versione dimostrativa. E questo mi ha suscitato emozioni un po' contrastanti: sì, ero contento del risultato, ma potevo prendermi più tempo per osservare meglio l'ambientazione dopo tutta quella attesa. Il subconscio nerd però me lo ha impedito, perché, pensandoci, preferisco godermelo quando uscirà.

Ma quindi, i giochi?

Ovviamente ho provato anche altri titoli, oltre a farmi lunghi giri attorno agli stand. Ho provato Dragon Ball: Sparking! Zero, all'ombra di un'enorme statua di Goku, pronto a scagliare l'onda energetica. Mi è sembrato quello che i fan chiedevano, un ritorno sugli schermi di Budokai Tenkaichi, che in effetti mancava da tempo, ma non posso dire di esserne rimasto impressionato tra telecamera ballerina, alcune animazioni incerte ed un generale impatto non all'altezza di un gioco che vuole essere di nuova generazione.

Per dire, Dragon Ball FighterZ è uscito più di 6 anni fa e ancora adesso mi fa impressione per quanto è fedele all'anime.

Meglio il già citato Little Nightmares III, un piccolo platform dell'orrore che per il terzo capitolo cambia sviluppatore, da Tarsier Studios a Supermassive Games. Se non l'avessi saputo, non me ne sarei accorto, perché il terzo rimane fedelissimo ai predecessori, con l'aggiunta di una gradita modalità cooperativa. Piccola parentesi: Tarsier Studios ora lavora per THQ Nordic e ha annunciato Reanimal, che è sostanzialmente un altro Little Nightmares, che purtroppo però non ho provato.

Ero incuriosito da Dark and Darker Mobile, visto che lo stand era gigantesco e c'era pubblicità ovunque. Parliamo della versione mobile di un gioco PC già esistente, questa volta a cura del colosso Krafton (PUBG vi dice qualcosa?). Il titolo non è all'altezza del suo stand, poiché è una sorta di Battle Royale Fantasy piuttosto lento e macchinoso, seppur indubbiamente con i suoi momenti di divertimento.

Tra l'altro, a testimonianza dell'impegno nel coinvolgere i visitatori, dopo aver provato il gioco era possibile girare una ruota virtuale per vincere dei premi: mi sono portato a casa una busta marchiata Dark and Darker Mobile ed un cappello da mago, ottimo da utilizzare per Halloween.

Ecco, un aspetto simpatico della Gamescom è che la prova di (quasi) ogni gioco vi ricompensa con un gadget. Il me bambino di un tempo sarebbe impazzito e li avrebbe collezionati tutti, il me di oggi li regalerebbe perché è altra roba da spolverare. E poi, qui rievoco ancora la razionalità, fare due ore di attesa solo per una busta marchiata per fare la spesa potrebbe non valerne la pena.

Ho provato anche altri titoli, come Unknown 9: Awakening di Bandai Namco, una sorta di God of War che non ha né il feeling, né la piacevolezza di God of War, e Marvel Rivals, la risposta di NetEase a Overwatch: in tutta sincerità, nonostante sia molto derivativo, mi ha divertito tantissimo.

I personaggi sono ben caratterizzati e la distruttibilità ambientale aggiunge quel pizzico di profondità che stravolge le battaglie.

Insomma, la Gamescom mi ha mostrato la bellezza e la potenza del mondo videoludico, ma mi ha anche svelato la mia fragilità, il mio cambiamento. Ho compreso che non è solo il mondo dei videogiochi a essere cambiato: sono cambiato io.

E così, mentre camminavo tra quegli stand maestosi, circondato da una nuova generazione di appassionati, ho sentito crescere in me una nuova consapevolezza: il tempo vola, i sogni cambiano e anche il modo di vivere la passione per i videogiochi si evolve. Ma soprattutto, mi ha fatto comprendere che, anche se il ragazzino degli anni '90 dentro di me non è mai davvero cresciuto del tutto, il mondo intorno a lui lo ha fatto.

Oggi la vera sfida non è solo restare al passo con i nuovi titoli o le nuove tecnologie, ma accettare il cambiamento e tenere viva la magia, appunto, in altri modi.

E quali sono, questi modi? Dovete cercarli dentro di voi. E io? Be', sono rimasto ammaliato dalle gigantesche statue. Le guardavo come un anziano in un cantiere e mi chiedevo come avessero fatto a montare quell'enorme gatto dello stand di Krafton che calava dal cielo.

Per non parlare poi della gioia di vedere tutti i meravigliosi cosplayer (ne ho fotografato qualcuno nella galleria in basso) e di guardare molti di loro divertirsi nella hall dedicata ai giochi di carte, un bellissimo teatro dove poter condividere mazzi e strategie con i giocatori provenienti da tutto il mondo. È davvero bello vedere così vivo l'universo nerd, nonostante io non ne faccia del tutto parte, poiché legato ormai solo ai videogiochi.

Sì, ormai sono un videogiocatore "vecchio": adoro videogiocare, ma sempre più in silenzio. Forse essere "vecchi" significa semplicemente riconoscere il valore del passato mentre si impara ad abbracciare il presente.

Sì, voglio raccontarmela così. E in questo, la Gamescom è stata una lezione che non dimenticherò mai. Lunga vita a Gamescom!

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