Le auto ibride plug-in (PHEV, ecco cosa sono e come funzionano) sono pubblicizzate come vetture solo leggermente più inquinanti delle auto elettriche. Questo perché, a differenza di mild e full hybrid sono dotate di un motore elettrico e di una batteria sufficientemente potenti da garantire un centinaio di chilometri senza usare la propulsione a benzina.
Il problema è che questo non è vero. O meglio, non è vero per come vengono utilizzate, e a dimostrarlo è uno studio della Commissione Europea che conferma i dati di altri rapporti pubblicati nei mesi scorsi. Andiamo a scoprire perché.
La differenza tra i dati di emissione dei produttori di auto e quelli reali
Le auto ibride plug-in vengono pubblicizzate come la tecnologia di transizione ideale tra veicoli a combustione interna ed elettrici, in quanto offrono il meglio dei due mondi.
I produttori indicano valori di emissioni di CO2 abbondantemente sotto i 50 g/km, e per questo consentono di accedere a incentivi statali anche importanti.
Il problema è che diversi studi, tra cui l'ultimo della Commissione Europea, dimostrano che questo non è vero: le emissioni non sono molto diverse da quelle di un'auto a benzina o diesel normale (immagine sotto, in blu i dati di emissioni rilevati e in arancione quelli indicati dai produttori).
Le differenze rilevate, chiamate "divari di emissioni", differiscono tra Paese a seconda dei modelli, con punte fino al 284% in Germania e 287% in Polonia, mentre in Finlandia si assestano al 176%.
Se guardiamo i diversi produttori di auto, possiamo vedere come i divari di emissioni siano piuttosto omogenei, e ci si potrebbe chiedere se siano attribuibili a certificazioni WLTP poco corrispondenti al vero.
In effetti ci sono divari tra i cicli WLTP e le misurazioni nel mondo reale anche per i motori a benzina e diesel, ma la differenza è nell'ordine del 20%, non del 200%.
I motivi di queste differenze
Ma quali sono i motivi di queste differenze? In generale, si può ipotizzare che i produttori sovrastimino la capacità solo elettrica dell'auto nei cicli WLTP, ma ce n'è uno che spiega chiaramente il fenomeno: gli utenti non caricano le vetture.
Quindi vanno solo a benzina.
A differenza delle auto full e mild hybrid, le auto ibride plug-in devono essere caricate alla colonnina per funzionare a batteria. Sì, la vettura si carica un minimo con il freno motore, ma se non si caricano si userà una costosissima ibrida plug-in come una normale auto a benzina.
La Commissione Europea misura questo comportamento introducendo il concetto di "fattore di utilità", ovvero la percentuale di tempo che un PHEV viene utilizzato in modalità elettrica piuttosto che con il suo motore a combustione.
I fattori di utilità sono molto bassi, molto più di quelli decantati dai produttori.
Possibili soluzioni?
Ovviamente, se si vende un'auto ibrida plug-in non si può obbligare la gente a caricarla. Ognuno la usa come meglio crede, e stando ai dati di vendita delle vetture negli Stati Uniti, le ibride plug-in non rappresentano una percentuale del mercato così importante.
I motivi sono diversi, tra cui il fatto che non costano molto meno delle auto elettriche e a quel punto se bisogna comunque caricarle molti utenti passano direttamente alla versione solo a batteria.
Nondimeno, diversi produttori stanno spingendo molto sulla tecnologia. Toyota ad esempio ora non vende più la sua popolarissima Prius con motore full hybrid, ma solo plug-in.
Ma qual è il problema di base? Secondo alcuni osservatori, è il fatto che le auto ibride plug-in siano vetture con motore a combustione e solo in secondo luogo elettriche. Come suggerito nei precedenti studi di T&E e ICCT, i PHEV dovrebbero essere progettati con una mentalità in primo luogo elettrica, con batterie abbastanza grandi da essere pratiche per l'uso quotidiano.