Passare al NAS: la nostra esperienza di redazione con Synology DiskStation 220+
03 Febbraio 2022 12
Piccola premessa. La nostra redazione è nata e cresciuta intorno ai servizi cloud: dalle G-App a Dropbox fino ai vari servizi di file transfer come WeTransfer e Smash abbiamo sempre avuto più di un buon motivo per lavorare sulla nuvola. Uno su tutti: in un settore come il nostro, i contenuti hanno una vita piuttosto breve e a volte serve una soluzione rapida, economica e indolore per arrivare al dunque.
Il punto è un altro. Il cloud arriva fino a un certo punto. Quando si considerano tutte le variabili in gioco – accessi, velocità, capacità di archiviazione, opzioni di sicurezza e costi – ci sono altre opzioni, alternative o complementari, che possono essere più utili e in alcuni casi più convenienti. Il NAS, per esempio. Nulla di nuovo sotto il sole, intendiamoci, l’utilizzo dei cosiddetti Network Attached Storage è una realtà di fatto ormai da decenni, sia in ambito personale che business. A essere cambiate sono semmai le declinazioni d’uso e le tecnologie a disposizione.
Lo spunto per parlarne ci arriva dalla nostra esperienza personale: quella di una redazione in crescita, sia in termini di personale che di attività, che ha deciso di spostare parte del suo flusso di lavoro su un Synology DiskStation 220+ per tutta una serie di motivi che proveremo qui di seguito a sintetizzare.
3 BUONI MOTIVI +1 PER MIGRARE SU NAS
La decisione di HDblog di trasferire una parte della gestione dei dati su NAS è stata dettata da tre bisogni primari, più una quarta motivazione che attiene (anche) alla sfera personale:
1. Necessità di archiviare in remoto video e altri file di grandi dimensioni per consentirne l’accesso a tutte le divisioni della redazione
In HDblog realizziamo almeno un video al giorno in formato 4K, che tradotto in numeri significa produrre quotidianamente carichi che vanno in media dai 20-30GB fino ai quasi 100GB. Si tratta di file che non sempre vengono maneggiati dalla stessa persona, anzi. Nella maggior parte dei casi si lavora a quattro o sei mani: c’è l’autore, chi riprende, chi edita, chi pubblica. Da qui la necessità di avere un unico repository nel quale far convergere il girato ma anche i progetti e le revisioni. Il workflow insomma.
C’è poi tutto il discorso delle live su Twitch… che c’entra lo streaming con l’archiviazione, direte voi? In questo caso, ovviamente, il problema non è legato al workflow bensì alla possibilità di avere una copia immortale di ciò che è andato in onda. Come noto, infatti, su Twitch le dirette restano visibili e ricercabili per soli due mesi, poi se non si è partner evaporano, bye bye. E questo può essere un problema. Soprattutto quando ci sono di mezzo attività che coinvolgono terze parti, società che a posteriori (spesso molto a posteriori) sono sempre pronte a richiedere una traccia (tangibile) del lavoro svolto in collaborazione.
2. Necessità di creare un archivio fotografico centralizzato
Se i video rappresentano il problema principale a livello di workflow, le foto sono una legacy con cui bisogna fare sempre i conti. Soprattutto in HDblog, dove vige una legge: tutto si crea ma non tutto si distrugge, specie quando c’è di mezzo del materiale lavorato che – di riffa o di raffa – può tornare utile in un secondo o un terzo momento. Il cloud rappresenta certo una buona soluzione, ma a lungo andare lo spazio si esaurisce e con esso la fiducia incondizionata in un mezzo che, per quanto comodo, resta comunque vincolato a un provider.
3.Necessità di concedere l’accesso a contenuti con specifici permessi a utenti esterni ad HDblog
HDblog fa parte di un grande network che comprende HDmotori e tutta una serie di attività editoriali che vengono fornite in outsourcing a terze parti. Fare fronte a queste attività significa in molti casi creare piccole unità decentralizzate nelle quali diventa fondamentale gestire le revisioni e dunque anche i permessi. Perché è evidente: quando si condividono documenti e altri contenuti con persone fuori dall’azienda occorre prestare attenzione a chi può fare cosa, che sia una semplice lettura piuttosto che una revisione più profonda.
4. Necessità di backuppare i telefoni e i PC utilizzati per le prove
Infine ci sono i backup. Quelli dei computer di redazione, certo, ma anche quelli dei dispositivi personali che in molti casi coincidono con i dispositivi in prova. Sì perché in una redazione dove si recensiscono ogni anno centinaia di PC, smartphone e dispositivi portatili – con prove che spesso durano svariate settimane - trasferire il solo account non basta, servono anche le app e i contenuti che fanno parte della nostra identità digitale. Anche in questo caso la soluzione può essere quella dei servizi cloud proprietari (è il caso di Apple iCloud+) ma il backup resta in fin dei conti l’unica soluzione trasversale per effettuare la copia e ripristino senza "se" e senza "ma".
LA SCELTA DEL NAS: COSA C' DENTRO SYNOLOGY DISKSTATION 220+
Per la scelta del nuovo hub da utilizzare per l’archiviazione e la condivisione dei dati abbiamo chiesto lumi allo staff di Synology che ci ha suggerito in prima battuta questo DS220+, un NAS che, al prezzo di poco meno di 350 euro, offre due alloggiamenti per l’inserimento di altrettanti hard disk (da acquistare separatamente), processore Intel Celeron J4025 con con 2GB di RAM DDR4 (espandibile) e Intel HD Graphics 600, il tutto per una frequenza di clock fino a 2,9GHz (in dual-core).
La parte di connettività è regolata da due porte LAN dual da 1GbE con possibilità di effettuare Link Aggregation, che significa in parole povere aumentare la larghezza di banda disponibile e al tempo stesso mantenere la connessione di rete in caso di interruzione della connessione sfruttando il multi-LAN per aggregare più interfacce di rete. La dotazione è poi completata da due ingressi USB-A, uno frontale e uno posteriore, per il collegamento di unità esterne.
Si tratta, nel complesso, di una soluzione abbastanza equilibrata per rapporto costi benefici che si rivolge sia all’utente evoluto sia a quello più inesperto ma che ha comunque bisogno di prestazioni. Synology parla di un throughput di oltre 225 MB/s in lettura sequenziale e 192 MB/s in scrittura sequenziale con consumi dichiarati di 14.96 watts a regime e di 4.41 watts quando è attivata la modalità di ibernazione del disco rigido.
Caratteristiche tecniche in sintesi
- Dimensioni (AxLxP) 165 x 108 x 232,2 mm
- Peso 1,3 kg
- CPU Intel Celeron J4025 2-core 2.0 GHz, fino a 2.9 GHz
- Motore di crittografia hardware Sì (AES-NI)
- Memoria DDR4 onboard da 2 GB (espandibile a 6 GB)
- Tipo di unità compatibile 2 HDD/SSD SATA da 3.5" o 2.5" (unità non incluse)
- Unità hot swap
- Porta esterna 2 x porte USB 3.0
- LAN 2 x Gigabit (RJ-45)
- Wake on LAN/WAN
- Accensione/Spegnimento programmato Sì
- Ventola di sistema 92 x 92 x 25 mm
- Tensione CA in ingresso da 100 V a 240 V CA
- Frequenza di alimentazione 50/60 Hz, monofase
- Temperatura operativa Da 0°C a 40°C (da 32°F a 104°F)
- Temperatura di conservazione Da -20 °C a 60 °C (da -5 °F a 140 °F)
- Umidità relativa dal 5% al 95%
- Altezza massima di utilizzo 5.000 m (16,400 ft)
LA PRIMA CONFIGURAZIONE E LA GESTIONE DELLA SICUREZZA
Per settare il DS220+, come del resto tutti i prodotti Synology, si passa da Diskstation Manager (DSM), il sistema operativo della casa, giunto alla versione 7. Si fa tutto dall'interfaccia Web: la configurazione principale, la navigazione fra i volumi e le cartelle del NAS; la creazione delle utenze e dei permessi per la condivisione, il monitoraggio delle performance, il download degli add on per specifici task e molto altro ancora.
Nel nostro caso i due bay sono stati riempiti con due hard disk rispettivamente da 2 e 8TB, ma - va detto - è possibile optare anche per memorie allo stato solido. Il file system, in ogni caso, è di tipo Brfts, standard abbracciato da Synology da qualche tempo ormai per via dei suo vantaggi a livello di mirroring, ripristino dei dati e copie di metadati.
Di default Synology imposta i RAID in modalità “ibrida” (SHR), una sorta di sistema di gestione automatizzata che combina i dischi di diverse dimensioni per creare un volume di archiviazione con prestazioni e capacità ottimizzata. In questo modo - questa almeno è la promessa - si va a perdere meno spazio sul disco guadagnando in flessibilità. Va detto che se, come nel nostro caso, sono incluse almeno due unità, il sistema effettua comunque la ridondanza per evitare la perdita di dati, proprio come succede nel caso del più classico RAID1 (opzione, quest’ultima, che resta comunque disponibile e per certi versi preferibile quando si lavora con due soli dischi, vista anche l’indipendenza dall’hardware).
A livello di connessione di rete è ovviamente possibile configurare manualmente l'indirizzo IP del server DNS, scegliendo opzioni alternative come i vari Google Public DNS, OpenDNS, Cloudflare e via dicendo. Noi, tuttavia, ci siamo limitati al minimo indispensabile. Verificando semplicemente che la connessione di rete puntasse al gateway predefinito.
Leggermente più articolate le operazioni a livello di sicurezza (davvero sterminate come su buona parte dei NAS) non fosse altro per la necessità di ricercare del giusto compromesso fra prestazioni e protezione. Nel nostro caso abbiamo attivato l’autenticazione a due fattori e abbiamo deciso di limitare le vulnerabilità disattivando l’Admin e creando tutta una serie di utenze primarie alternative, ciascuna con le sue credenziali e le sue autorizzazioni a livello di lettura e scrittura.
Volendo, ci spiega Synology, è possibile attivare Synology Secure SignIn, una soluzione che di fatto fortifica ulteriormente l’autenticazione attraverso un’omonima app per smartphone (disponibile sia per iPhone che per Android). In pratica, quando si effettua l’accesso al NAS viene richiesto, oltre la password, un codice di sicurezza generato dall’app.
Fondamentale, in ogni caso, abilitare QuickConnect, il sistema che consente alle applicazioni client di connettersi a Synology NAS tramite Internet per l’accesso e la condivisione sicura di file e cartelle senza dover impostare le regole di invio. “È un po’ come avere uno schermo che ci separa dagli utenti con cui vogliamo condividere i nostri dati, il tutto senza instradamenti”, ci spiegano i responsabili tecnici di Synology.
COM' CAMBIATO IL NOSTRO WORKFLOW
Terminate le operazioni di configurazione base ci siamo dedicati al fine tuning (leggasi costruzione di cartelle e permessi) per gestire tutti i punti critici del nostro workflow.
Per l’archiviazione dei video la decisione della redazione è stata unanime: creare una serie di cartelle in cui caricare sia i video in lavorazione che quelli conclusi (da cui recuperare clip), nonché i download delle dirette Twitch che – per un motivo o per l’altro – vogliamo preservare dall’oblio.
La possibilità di sfruttare una fibra FTTH da 1GB ci permette di caricare e scaricare file molto pesanti in tempi rapidissimi all'interno della nostra rete: ci vogliono una manciata di secondi per completare l’upload di 1 giga di video. I tempi si allungano quando si effettua l’accesso da remoto; in questo caso le velocità sono vincolate dai limiti a livello di upload del provider di rete che, nel nostro caso parte da un minimo garantito di 1,5 MB/s.
Per quanto riguarda la gestione delle foto avevamo due opzioni: da un lato utilizzare la soluzione proprietaria della casa, Synology Photos, un’applicazione disponibile sia lato desktop che mobile per archiviare, ordinare e condividere le foto caricate sul NAS, dall’altro passare dalle cartelle di Lightroom. La possibilità di sfruttare le cosiddette anteprime avanzate ci ha fatto propendere per questa seconda ipotesi. In parole povere abbiamo portato tutti gli originali in alta o altissima risoluzione sul NAS lasciando sul catalogo di Lightroom solo le miniature in formato ridotto generate in fase di importazione. Il tutto, ovviamente, senza alcun tipo di preclusione per quanto riguarda l'accesso da dispositivi mobili attraverso le app mobili della suite Adobe.
A livello di condivisione, le regole di sicurezza viste poc'anzi ci hanno consentito di creare due vie ben distinte per il lavoro collaborativo: da un lato ci sono le cartelle "aperte" a uso interno che abbiamo deciso di mettere a fattore comune attraverso una serie di utenze separate; dall'altro quelle da condividere all'esterno attraverso un clic sul pulsante destro del mouse. È infatti il sistema QuickConnect - come si è visto opportunamente configurato - a farsi carico di tutte le regole di condivisione generando un semplice link di sola lettura da inviare via mail o copiaincollare altrove.
In ultimo c'è tutto il discorso dei backup. Premesso che chi vi scrive è piuttosto pigro con le procedure (il drag&drop resta in fin dei conti la mia soluzione preferita), DS220+ offre tutta una serie di opzioni per la gestione delle automazioni. La principale è rappresentata da Synology Drive Client, l'applicazione che esegue il backup dei dispositivi desktop e che, nel caso dei Mac, può essere combinata con Time Machine.
In tema di sincronizzazione va citata poi anche Cloud Sync, l'applicazione scaricabile sempre da DSM per effettuare il backup o lo scambio dei dati tra il NAS locale e tutti i più comuni servizi cloud come Dropbox, Google Drive, OneDrive e via dicendo.
Più difficile, restando in casa Apple, il backup degli iPhone. Da qualche tempo, infatti, Apple ha reso assai complicato dirottare altrove la cartella locale MobileSync utilizzata da iTunes per i backup. La nostra soluzione è stata pertanto quella di passare da un'app di terze parti, iMazing.
CONCLUSIONI
Lo spazio di archiviazione è come il denaro. Non basta mai. Soprattutto in una redazione come la nostra nella quale ogni giorno girano tonnellate di contenuti "pesanti". L'utilizzo di un NAS rappresenta in questo senso un buon deterrente per fronteggiare le giga-cartelle generate in redazione ma ancor di più per mettere ordine al workflow.
In questo senso la creazione di profili utenti con differenti permessi e la facilità di condivisione attraverso QuickConnect rappresentano il principale valore aggiunto di questo DS220+ e più in generale del portfolio Synology. Non meno rilevante l'impatto di tutti i vari pacchetti di software per la fruizione di dati specifici, da desktop, come in mobilità. Oltre agli applicativi must to have - è il caso di Synology Drive per la creazione di un cloud privato personale, DSfile per la sincronizzazione e la navigazione delle cartelle da qualsiasi dispositivo, CloudSync per la sincronizzazione con i vari servizi Cloud di terze parti, Synology Photos per la gestione degli archivi fotografici - il carnet di verticali messo a disposizione dalla società taiwanese è davvero sterminato.
L'impressione, dopo un paio di settimane di utilizzo, è che ci sia ancora un buon 50% di opportunità inesplorate legate a tutti gli ambiti della gestione e della condivisione del dato: dalla creazione di veri e propria media server alla possibilità di interfacciarsi ai sistemi di diffusione audio (DSaudio), dalla gestione delle videocamere di sorveglianza all'interfacciamento con Home Assistant attraverso il docker, ce n'è davvero per tutti i gusti e per tutte le necessità.
Il costo complessivo della soluzione - circa 350 euro più quello dei dischi associati (calcolate un'ottantina di euro per un'unità da 2TB) - non va preso alla leggera ma è giustificato dai benefici che ne possono derivare. E non solo per chi, come nel caso della nostra redazione, era ormai arrivato a un punto di saturazione.