Santagata (Tim/Telsy): “Sostenere con fondi pubblici gli acquisti cyber di PA locali e PMI”

1 year ago 198
La proposta di Eugenio Santagata, Chief Public Affairs & Security Officer di Tim e ad di Telsy, nel corso dell’audizione alla Commissione Politiche Europee della Camera.

È necessario “aumentare gli investimenti in capacità di cyberdifesa anche attraverso l’introduzione di fondi ed incentivi dedicati”. È questo uno dei passaggi chiave dell’audizione alla Commissione Politiche Europee della Camera, tenuta, ieri, da Eugenio Santagata, Chief Public Affairs & Security Officer di TIM e CEO di Telsy, la società del gruppo specializzata in cybersecurity e una delle rare aziende italiane a sviluppare tecnologie cyber. Santagata è stato audito nell’ambito dell’esame della Comunicazione congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo e al Consiglio riguardante la politica di cyberdifesa dell’Ue.

Santagata: “Per preferire soluzioni cyber europee”, nell’ottica della sovranità digitale, “introdurre fondi dedicate alle imprese”

“Auspichiamo l’introduzione di fondi dedicati alle imprese per l’acquisto di soluzioni cyber adeguate”, ha spiegato Santagata, ricordando che la direttiva europea Nis2 prevede l’obbligo di adozione di soluzioni di sicurezza cibernetica per molti soggetti ma evidenziando come “questi andrebbero sostenuti con appositi incentivi, soprattutto nel caso in cui si voglia optare per soluzioni europee che generalmente sono più costose”.

Per la PA sarebbe auspicabile una quota di fondi per le PA da destinare a soluzione cyber”

“Anche la Pubblica Amministrazione dovrebbe dotarsi di strumenti adeguati a proteggere le proprie infrastrutture e sistemi”, ha continuato Santagata. “A tal proposito sarebbe auspicabile prevedere una quota di fondi per le PA da destinare a soluzione cyber, così come era stato proposto in sede di conversione del Dl Pnrr 3”.
Il manager ha riferimento a questa proposta di emendamento a firma Borghese del gruppo Cd’I-NM (UDC-CI-NcI-IaC) – MAIE, che, in sintesi, prevedeva:
“Nel caso in cui un intervento previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ovvero dal Piano Nazionale Complementare comporti l’acquisizione o la messa in funzione di almeno un elemento digitale, sia esso hardware o software, una quota non inferiore al 3% delle risorse disponibili per l’intervento stesso è destinata all’acquisizione di beni e servizi atti a garantire ovvero ad incrementare la sicurezza cibernetica degli elementi digitali dell’intervento stesso”.


Infine, per Santagata, è necessario “promuovere le tecnologie proprietarie europee. Per valorizzare e potenziare l’industria cyber europea bisognerebbe investire i soldi pubblici dell’Ue in tali soluzioni proprietarie”, ha affermato. 

“In Italia 3mila aziende di cybersecurity, ma solo il 20% con tecnologie proprietarie”

Il manager ha citato i dati, desolanti, in Italia. “Nel nostro Paese sono circa 3mila le aziende operanti nell’industria della cybersecurity, di queste solo il 20% è detentore di tecnologie proprietarie. Siamo convinti che un’architettura solida di difesa sia possibile”, ha concluso, “a partire dalla consapevolezza di governare tecnologie che oggi non governiamo. Senza una base industriale solida è difficile creare un ecosistema europeo efficiente ed efficace”.

Con il PNRR aumenta la superficie d’attacco dell’Italia. Il Governo n’è consapevole?

Ritornando alla proposta di dedicare fondi statali ad hoc per la cybersicurezza nelle PA, qualcuno potrà obiettare, sostenendo che nel PNRR sono già previsti 623 milioni di euro per la cybersicurezza. Ma queste risorse, già stanziate, sono in gran parte destinate all’avvio dell’attività dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale e ad alcuni primi interventi di acquisto di soluzioni di
Cybersicurezza per la PA, ma nulla è disposto per assicurare che gli elementi digitali degli altri interventi, previsti in tutte le missioni del PNRR e del Piano Nazionale Complementare, siano dotati di adeguate misure di protezione cibernetica.
Allora come realizzare i tanti progetti del PNRR e PNC di smart cities, sulle infrastrutture di ricarica di auto elettriche, sulla digitalizzazione delle reti idriche, sulla digitalizzazione dei porti se non si pensa, by default, e con quote ad hoc, alla loro sicurezza cibernetica?
Il Governo è consapevole che con la maggioranza dei progetti del PNRR si amplia enormemente la superficie d’attacco nei confronti del nostro Paese? Perché sono legati alla transizione digitale. E tutto ciò che è digitale è a rischio dal punto di vista della sicurezza cibernetica. E le PA, le nostre città, i Comuni e le infrastrutture, che erogano servizi essenziali saranno più vulnerabili ai cyber attacchi. Il “rischio zero non esiste”, ma lo si sente solo dagli esperti nei convegni di cybersecurity e questa cultura della cybersecurity e la consapevolezza del rischio cibernetico non sono ancora maturate in tutti i componenti del Governo e, soprattutto, in tutti i funzionari dei ministeri alle prese con il PNRR.  
Ma non esiste innovazione tecnologica senza cybersecurity. 
È come andare in guerra solo con un giubbotto antiproiettile: prima o poi si viene colpito…
 
 

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