Tutte le volte che la fantascienza ci ha preso in pieno: 5 tecnologie che libri e film avevano previsto

8 months ago 124

Nel fine settimana ho visto il video di Casey Neistat su Apple Vision Pro e, alla fine del vlog, Neistat dice una cosa non scontata, sulla quale mi trovo d'accordo: al netto di quanto oggi possa essere limitato Vision Pro, lo spatial computing è il futuro delle interfacce per come lo abbiamo sempre immaginato, è quel che la fantascienza aveva anticipato negli ultimi cinquant'anni.

L'interfaccia di J.A.R.V.I.S., l'intelligenza artificiale che assiste Tony Stark nei panni di Iron Man, somiglia un po' all'idea dietro lo spatial computing di Vision Pro.

Siamo cresciuti guardando film in cui i personaggi interagiscono con software che non si trovano bloccati su uno schermo, ma incastonati nel mondo reale: l'immagine qui sopra con l'interfaccia J.A.R.V.I.S. che si vede dentro il casco di Iron Man è solo uno degli esempi più lampanti e conosciuti, ma se togliamo di mezzo il visore (che è l'elemento ingombrante, che non rende bene al cinema a meno che non si parli di supereroi), l'immaginario fantascientifico è pieno zeppo di interfacce fluttuanti.

Probabilmente ci vorranno anni (decenni?) prima che un approccio simile possa diventare comune, quotidiano: ci vorranno un paio di rivoluzioni tecnologiche prima che l'hardware di Vision Pro possa essere ridotto al punto da diventare invisibile o quasi, ma la strada intrapresa da Apple è effettivamente quella che la fantascienza ci aveva pronosticato, da almeno un paio di decadi.

E se c'è una cosa che ho imparato facendo questo lavoro (e leggendo e guardando opere di fantascienza), è che gli autori sci-fi sono spesso stati dei visionari che ci hanno visto lunghissimo, anticipando di decenni (se non addirittura di secoli) l'evoluzione tecnologica. 

Sarebbe praticamente impossibile raccontare tutte le tecnologie che sono state previste dalle opere fantascienza: l'elenco è incredibilmente lungo, e se volete una lista molto accurata, che include anche prodotti che oggi diamo assolutamente per scontati come il sottomarino (che fu anticipato da un romanzo del 1666!), c'è una bella pagina di Wikipedia in merito: List of existing technologies predicted in science fiction.

In questo articolo, invece, ho voluto raccogliere tecnologie che riguardano l'informatica che sono state anticipate da opere di fantascienza che potremmo definire pop, o per lo meno molto conosciute (o a cui io sono personalmente legato, perché in fin dei conti questa lista l'ho scritta io).

Ecco quindi 5 tecnologie che la fantascienza aveva previsto in modo schifosamente accurato.

Indice

Smartphone e tablet

L'idea di un dispositivo portatile dotato di uno schermo (magari che risponde anche al tocco), e che fornisce informazioni di qualche tipo è uno degli archetipi della fantascienza. È un'idea che abbiamo visto in ogni forma e con ogni sfaccettatura, decenni prima dell'avvento non solo degli smartphone moderni, ma anche dei primi palmari. 

Un esempio famoso è quello dei PADD (Personal Access Display Device) di Star Trek: The Next Generation (1987), ma esistono testimonianze perfino antecedenti. Senza voler andare a cercare casi nella letteratura, penso che uno degli esempi più clamorosi siano i "tablet" che si vedono in 2001: Odissea nello spazio. Anche se oggi può sembrare scontata l'idea di un dispositivo con un grande display su cui guardare contenuti, tenete presente che il film in questione è del 1968, ossia di quarantadue anni prima del lancio del primo iPad.

Il metaverso

L'idea di un mondo virtuale che esiste solo indossando un qualche tipo di visore è un tema ricorrente nella fantascienza, ed è facile far risalire un concetto simile già a William Gibson, che nel suo Neuromante (1984) immaginava quel che lui definiva cyberspazio come una rete interconnessa parallela al mondo reale: un po' internet, un po' realtà virtuale.

Il tutto era incredibilmente futuristico ma, come sa bene chi ha letto Gibson, anche molto lisergico, astratto, concettuale (il brano di seguito viene da Neuromante):

Cyberspazio: un'allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici... Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano.

Incredibilmente più precisa, invece, è la descrizione del Metaverso di Neal Stephenson, che d'altra parte ha coniato il termine Metaverso nel suo libro Snow Crash, del 1992.

Ho letto questo romanzo solo di recente, dopo che Facebook (o meglio, Meta) si è appropriata del termine coniato da Stephenson per raccontare il suo mondo virtuale: sono rimasto sinceramente spiazzato dalla precisione con cui l'autore raccontava il suo Metaverso, almeno trent'anni prima che noi vedessimo concretizzata la realtà virtuale immersiva di Facebook.

Vi lascio due brani di seguito, tratti entrambi da Snow Crash:

Disegnando un'immagine leggermente diversa di fronte a ognuno degli occhi è possibile creare un effetto tridimensionale. Cambiando l'immagine settantadue volte al secondo si genera l'impressione del movimento. Disegnando l'immagine tridimensionale in movimento a una risoluzione di 2K pixel per lato si raggiunge il massimo grado di nitidezza percepibile a occhio nudo e pompando il suono di uno stereo digitale nei piccoli auricolari è possibile dotare le immagini tridimensionali in movimento di una perfetta colonna sonora.

Quindi, Hiro non è affatto lì dove si trova, bensì in un universo generato dal computer che la macchina sta disegnando sui suoi occhialoni e pompando negli auricolari. Nel gergo del settore, questo luogo immaginario viene chiamato Metaverso. Hiro trascorre molto tempo nel Metaverso. Lo aiuta a dimenticare la vita di merda del D-Posit.

Hiro sta per arrivare sulla Strada — la Broadway, gli Champs Elysees del Metaverso.

È il viale pieno di luci brillanti che si vede riflesso, in miniatura, da dietro le lenti dei suoi occhialoni. Non esiste in realtà. Ma in questo preciso istante, milioni di persone lo stanno percorrendo avanti e indietro.

[...]

Naturalmente, non sta vedendo persone reali. È solo una parte dell'immagine disegnata dal suo computer, in base ai dati provenienti dal cavo a fibre ottiche. Le persone sono dei software detti avatar. Si tratta di corpi audiovisivi che la gente usa per interagire nel Metaverso. Ora, anche l'avatar di Hiro si trova sulla Strada, se le due coppie che stanno scendendo dalla Monorotaia guardassero nella sua direzione lo vedrebbero, proprio come lui vede loro. Potrebbero avviare una conversazione: Hiro dal D-Posit di Los Angeles e i quattro adolescenti, probabilmente, da un divano di un quartiere residenziale di Chicago, ognuno col suo PC portatile. Ma è probabile che non si parleranno, proprio come succederebbe nella Realtà.

Sempre in termini di Metaverso, impossibile non concludere con Ready Player One, romanzo di fantascienza del 2011 di Ernest Cline, da cui Steve Spielberg ha tratto l'omonimo film del 2018.

Ologrammi 3D

Impossibile citare le invenzioni che la fantascienza aveva previsto senza citare Help me Obi-Wan Kenobi, you're my only hope.

Anche se l'immaginario di Star Wars ci sembra sempre molto vicino, considerando che il franchise continua a crescere ed espandersi con nuove opere, è bene ricordare che il primo film della saga, A new hope, è del 1977.

Oggi gli ologrammi 3D sono ampiamente utilizzati nel settore dell'intrattenimento e negli anni sono diventati incredibilmente realistici, ma nel 1977 non era scontato immaginare un videomessaggio in tre dimensioni. Tra i numerosi esempi di concerti con ologrammi 3D, alcuni dei più famosi sono quelli di Whitney Houston, che ci ha tirato fuori un vero e proprio format, con un tour che è andato avanti dal 2020 al 2023.

Auricolari Bluetooth

Un dispositivo senza fili con cui ascoltare la musica o comunicare è immancabile nei canoni della fantascienza. È interessante notare che quello che viene comunemente considerato il primo spunto per gli auricolari Bluetooth viene da un libro di fantascienza in cui la tecnologia ha un ruolo tutto sommato marginale nella trama: Fahrenheit 451, di Ray Bradbury.

In questo meraviglioso romanzo del 1953, esiste un oggetto chiamato conchiglia, un piccolo dispositivo radio che si infila nelle orecchie e serve per ascoltare musica, o comunicare.

Più tardi, quella stessa notte, egli si volse a guardare Mildred. Era sveglia. C'era nell'aria una minuscola danza di melodie, la conchiglia era ancora inserita nell'orecchio di lei, intenta ad ascoltare persone remote in luoghi remoti, gli occhi spalancati, fissi nell'abisso di tenebra su di lei nel soffitto.

[...]

«Sembra quasi una radio a conchiglia.»

«Ma è qualcosa di più. È uno strumento che ascolta! Se ve lo introducete in un orecchio, Montag, io posso starmene comodamente a casa, a scaldarmi queste vecchie ossa intirizzite dalla paura, e intanto udire, studiare il mondo dei militi del fuoco, scoprirne le debolezze, senza pericolo.

»

Intelligenza artificiale

Impossibile non chiudere una raccolta simile parlando di intelligenza artificiale. Anche se in molti esempi che troviamo nella fantascienza si parla di una qualche forma di Intelligenza Artificiale Generale (ossia quella in grado di apprendere qualsiasi comportamento umano, e quindi di diventare in qualche modo "senziente"), l'IA è un tema che affascina l'uomo da secoli.

Le riflessioni sulle implicazioni etiche di una qualche forma di intelligenza artificiale vengono spesso ricondotte fino al Frankenstein di Mary Shelley (1818), ma la fantascienza del novecento pullula di esempi più vicini all'IA che conosciamo noi, ossia quella integralmente basata sull'evoluzione tecnologica. 

Impossibile non citare il Ciclo dei Robot di Isaac Asimov, che ha canonizzato le famosissime tre leggi della robotica, divenute quasi un'ispirazione filosofica per chiunque lavori con l'intelligenza artificiale. Ma personalmente il mio romanzo preferito sul tema è Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip Dick (da cui è tratto il film tratto Blade Runner), che riflette in modo molto profondo su cosa renda (o meno) umana una qualche forma di intelligenza.

E, per concludere con un consiglio in tema IA, se non l'avete ancora mai visto, Lei di Spike Jonze è probabilmente uno dei film di fantascienza più belli e toccanti degli ultimi anni.

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