Walmart, in Cina aperta indagine per 19 vulnerabilità cyber. Scoppia il caso ‘Xinjiang’

2 years ago 387
L’indagine potrebbe essere una ritorsione del governo cinese, perché la società Usa ha rimosso dai suoi scaffali e dalle app prodotti realizzati nello Xinjiang, l’area in cui Pechino è accusata di violazioni dei diritti umani degli uiguri. Il produttore di chip Intel aveva chiesto ai fornitori di evitare di rifornirsi dalla stessa area.

Le autorità cinesi hanno acceso i riflettori su Walmart, il gigante USA della vendita al dettaglio, per la seconda volta in meno di una settimana. Secondo il media locale China Quality News, nei confronti di Walmart è stata avviata un’azione amministrativa per presunte 19 vulnerabilità cyber, secondo la nuova legge sulla sicurezza informatica.

Infatti, la polizia Shenzhen avrebbe trovato 19 vulnerabilità nel sistema di rete dell’azienda a novembre, e Walmart è stata lenta a risolvere le falle, ma, al momento, non risultano sanzioni nei suoi confronti.

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L’indagine della polizia arriva mentre Walmart negli ultimi giorni ha subìto un contraccolpo sui social media e le critiche dell’organismo di vigilanza anticorruzione cinese per aver rimosso dai suoi scaffali e dalle app prodotti realizzati nello Xinjiang, l’area in cui il governo cinese è accusata di violazioni dei diritti umani degli uiguri.

La Commissione centrale per l’ispezione disciplinare del Partito comunista al potere ha avvertito Walmart che ci sarebbe stata una ritorsione da parte dei consumatori se avesse rimosso i prodotti dello Xinjiang dai suoi scaffali. E così è avvenuto. Oltre alla ritorsione governativa con l’avvio di un’indagine per violazione della legge sulla cyber security.

Ma non solo Walmart. A marzo, anche il marchio H&M è diventato il bersaglio di una violenta reazione online dopo aver affermato che avrebbe smesso di approvvigionarsi dalla regione dello Xinjiang e la presenza online dell’azienda svedese è stata cancellata da Internet cinese.

Lo Xinjiang è diventato una fonte di tensione geopolitica. I ricercatori, scrive il Wall Street Journal, affermano che le autorità dello Xinjiang hanno detenuto fino a un milione di membri di minoranze etniche in una rete di campi di internamento per assecondare la campagna di assimilazione etnica del governo. Sempre secondo i ricercatori, continua il quotidiano, nei confronti delle minoranze etniche è effettuata anche la sorveglianza di massa, lavoro forzato e rigorosi controlli delle nascite. Il governo degli Stati Uniti, insieme ad alcuni legislatori di altri Paesi occidentali, ha affermato che tali politiche equivalgono a una forma di genocidio.

Pechino ha liquidato l’accusa di genocidio come un’invenzione, descrivendo la sua campagna nello Xinjiang come uno sforzo innovativo per contrastare l’estremismo religioso e il terrorismo.

Il mese scorso il presidente Biden ha firmato la legge uigura per la prevenzione del lavoro forzato, che vieta tutte le importazioni dallo Xinjiang negli Stati Uniti a meno che non si possa dimostrare che i prodotti sono stati realizzati senza lavoro forzato.

Nelle scorse settimane il presidente americano Joe Biden ha firmato un provvedimento bipartisan che vieta l’import di prodotti dallo Xinjiang a meno che le aziende non siano in grado di dimostrare che i materiali usati non sono frutto di lavoro forzato

Questa settimana, Elon Musk è finito in una ‘bufera’ per averaperto uno showroom della Tesla proprio nello Xinjiang.Gli attivisti americani e il Council on American-Islamic Relations chiedono al miliardario di chiudere lo showroom: non farlo – è la loro tesi – vuol dire “sostenere economicamente il genocidio”.
Invece, Intel si è scusata con i cinesi, in una lettera aperta, dopo che il produttore di chip ha chiesto ai fornitori di evitare di rifornirsi dallo Xinjiang.

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