Lo scorso 5 agosto, un tribunale federale statunitense ha emesso una sentenza che potrebbe essere destinata a cambiare le sorti del web e del mercato tech: Google, infatti, è stata riconosciuta colpevole di violazione della legge antitrust, avendo "creato un monopolio" che le ha permesso di "consolidarsi come il più grande motore di ricerca al mondo".
GOOGLE ACCUSATA DI MONOPOLIO
Dopo mesi di indagini approfondite, il giudice aveva stabilito che il colosso tecnologico ha sfruttato la sua posizione dominante sul mercato in maniera illegale scoraggiando i concorrenti dall'innovare e investire. Inoltre, ha accertato che, anche se gli utenti possono cambiare il motore di ricerca predefinito, lo fanno raramente essendo impostato come predefinito su moltissimi dispositivi e piattaforme.
La sentenza aveva comunque riconosciuto che Google ha raggiunto la sua posizione di predominio sviluppando un motore di ricerca che ha guadagnato la fiducia degli utenti grazie alla sua qualità. Tuttavia, ciò non giustifica le pratiche anticoncorrenziali adottate successivamente per mantenere ed espandere il suo monopolio. Come conseguenza di quella sentenza, il Dipartimento di Giustizia (DOJ) sta ora valutando una serie di misure per correggere tale comportamento e ripristinare la concorrenza nel settore dei motori di ricerca.
Il DOJ ha depositato un documento di 32 pagine in cui vengono delineate le possibili soluzioni che il giudice federale Amit Mehta potrebbe mettere in atto per fronteggiare questo monopolio di Google. Tra le ipotesi sul tavolo, si parla anche della possibile scissione di Alphabet, la società madre di Google, un'operazione che comporterebbe la separazione di alcuni dei suoi prodotti principali.
RIMEDI COMPORTAMENTALI E STRUTTURALI
Gli avvocati del Dipartimento di Giustizia stanno considerando due tipologie di intervento per limitare il potere di Google: "rimedi comportamentali e rimedi strutturali". I primi prevedono misure di controllo continuo sul comportamento dell’azienda, come l'implementazione di decreti che ne monitorino l’operato e la conformità alle leggi antitrust. I rimedi strutturali, invece, potrebbero essere ancora più drastici, imponendo a Google la vendita di alcune delle sue divisioni o prodotti strategici, per spezzare il circolo vizioso che le garantisce un vantaggio competitivo schiacciante.
In particolare, l'attenzione del DOJ è focalizzata sull'utilizzo da parte di Google di "piattaforme come Chrome, Android e Google Play per favorire il suo motore di ricerca rispetto a quelli dei concorrenti". Il documento sottolinea come questo tipo di integrazione verticale tra prodotti rappresenti un ostacolo per la concorrenza, non solo sul piano della ricerca online, ma anche nei nuovi settori emergenti come l'intelligenza artificiale.
CONTROLLO DEI CANALI DI DISTRIBUZIONE
Uno dei punti chiave della sentenza riguarda il controllo di Google sui canali di distribuzione delle ricerche online. In particolare, il DOJ ha evidenziato il denaro che Google paga per essere l'opzione predefinita sui dispositivi di largo consumo, come l'iPhone di Apple. Gli avvocati sostengono che tali pratiche rendano impossibile per i concorrenti competere, poiché i pagamenti di Google – finanziati dal suo monopolio – disincentivano i partner dal deviare le ricerche verso motori alternativi.
Il sistema operativo Android, di proprietà dell'azienda di Mountain View, è un altro fulcro della controversia. Android è il sistema operativo mobile più utilizzato al mondo, fornendo a Google un'influenza decisiva nel mercato delle app e dei servizi connessi.
Un altro aspetto discusso nel deposito riguarda il comportamento degli utenti. Tra le possibili soluzioni, il DOJ propone di richiedere a Google di finanziare campagne di sensibilizzazione per educare gli utenti a scegliere consapevolmente il motore di ricerca che meglio risponde alle loro esigenze. Questa misura avrebbe lo scopo di ridurre la dipendenza degli utenti da Google come opzione predefinita, aumentando la consapevolezza su alternative disponibili.
LA RISPOSTA DI GOOGLE
Non si è fatta attendere la replica di Google, che ha risposto tramite un post sul suo blog ufficiale, in cui critica la proposta del DOJ definendola "eccessiva" rispetto al contenuto legale della decisione. Google sostiene che la scissione di Chrome o Android, ipotizzata come una delle soluzioni strutturali, comporterebbe danni significativi, comprometterebbe la sicurezza, aumenterebbe i costi dei dispositivi e ostacolerebbe la concorrenza con Apple.
Il colosso di Mountain View ribadisce come questi prodotti, distribuiti gratuitamente, abbiano permesso a miliardi di persone di accedere a internet. Secondo l'azienda, poche altre imprese avrebbero la capacità o la volontà di mantenere tali prodotti open source e di investire in essi come ha fatto Google.
Google, infime, ritiene anche che le modifiche proposte potrebbero destabilizzare il mercato della pubblicità online, danneggiando le piccole imprese e riducendo la disponibilità di strumenti economici per la promozione online. L'azienda si prepara a difendere la propria posizione in tribunale il prossimo anno.
La sentenza contro Google potrebbe rappresentare un punto di svolta non solo per l'azienda, ma per l'intero settore tecnologico. La possibile scissione di Alphabet segnerebbe un cambiamento radicale nell’industria dei motori di ricerca e dei servizi connessi. Il giudice Mehta prevede di tenere un processo per la definizione della soluzione nella primavera del 2025, con una decisione finale attesa per agosto dello stesso anno. Google ha già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello, ma solo dopo che il giudice Mehta avrà finalizzato le sue conclusioni.