Ho sempre pensato a cosa Final Fantasy sarebbe diventato in futuro, se avesse mantenuto la magia, nel tempo. Io e mio fratello ne eravamo pazzi, lui molto più di me. È la classica persona che, pur avendo abbandonato il mondo dei videogiochi, comprerebbe una PS5 solo per Final Fantasy VII Rebirth. Ed è anche la persona che, più di vent'anni fa, scriveva sul suo taccuino le statistiche di Cloud nei flashback del passato, per poi paragonarle a quelle del presente e di Sephiroth, per capire chi dei due fosse più forte.
Dopo Final Fantasy X, c'è stato un disinnamoramento progressivo generale, un po' perché le tematiche si stavano allontanando dagli stilemi della serie, un po' perché Square Enix iniziò a sperimentare, tra formule online, prodotti più lineari e cinematografici, e progetti cross-multimediali non riuscitissimi.
Poi, solo poi, c'è stato Final Fantasy VII Remake. Il rifacimento del capitolo più amato, anzi, del JRPG più famoso di sempre, è arrivato. Lo ha fatto nel pieno della pandemia, a marzo del 2020, con un lavoro mastodontico, dai valori produttivi stellari, che ha sollevato però delle critiche sulla natura del progetto in sé, poiché Remake è solo il primo dei tre capitoli previsti per questa, ormai, saga.
Si potrebbe pensare ad una mera operazione commerciale, lo è in effetti, ma Square Enix è stata chiara e ha deciso di rifare Final Fantasy VII, ma di farlo a modo suo, realizzando il miglior Final Fantasy VII possibile. E quindi sì, si divide in tre parti, ma Remake è stata una forte conferma delle chiare idee del disegno, tanto da trasformare le prime ore dell'originale in un gioco moderno e profondo da 35 ore, con un piglio cinematografico ed un maggiore approfondimento della storia. Detto questo, mettetevi comodi e godetevi la recensione della seconda parte, Final Fantasy VII Rebirth.
Attenzione: la recensione è in corso ed è basata attualmente su 50 ore di gioco. Non è stato ancora raggiunto il finale. Seguirà un aggiornamento nei prossimi giorni con valutazione numerica.
Scheda videogioco
- Publisher Square Enix
- Sviluppatore Square Enix
- Genere Gioco di ruolo
- Numero giocatori 1
- Lingua Testi in italiano
- Disponibile su
Tutto uguale, tutto cambia
L'inizio di Final Fantasy VII Rebirth va ad evidenziare un aspetto che si era palesato nel finale del precedente, cioè che gli eventi di questa nuova saga potrebbero non essere identici a quelli dell'originale. Lo stratagemma narrativo, un po' spicciolo, per giustificare tutto ciò, sta nell'introduzione dei Numen, i custodi del fato che si manifestano quando gli eventi si stanno allontanando troppo dal percorso previsto dal destino.
L'evento del finale di Remake, esagerato nella messa in scena, dava adito ad un mucchio di domande: se i Numen simboleggiano il cambiamento del corso degli eventi, cosa succederà in Rebirth? Quale sarà il destino dei personaggi? Quali luoghi si visiteranno? Insomma, quanto sarà fedele all'originale? Una scelta furba per alimentare la curiosità, alla quale posso darvi subito una risposta: Final Fantasy VII Rebirth è molto fedele all'originale, ma si prende qualche rischio in più di Remake.
Il canovaccio narrativo è il medesimo del titolo del '97: chiusa la parte di Midgar, in Rebirth il gioco si apre e lascia al giocatore gestire il ritmo dell'avventura. Se Remake infatti si presentava inquadrato e cinematografico, eccetto delle brevi parentesi libere, il suo seguito offre delle macro-aree ricche di attività secondarie, scontri opzionali, reagenti da raccogliere e oggetti nascosti, proprio come l'originale e proprio come la formula dei più celebri Final Fantasy.
In virtù del cambio di registro, la storia subisce un calo di intensità. Del resto, lo si percepiva già nell'originale. Rebirth si concentra appunto sul viaggio di Cloud e compagni alla ricerca di Sephiroth, e vi porta nei luoghi che in qualche modo si intrecciano con il passato dei vari personaggi e con il loro ruolo nel grande progetto del pianeta. I risvolti veri e propri vengono erogati più lentamente di Remake e arrivano solo nella seconda metà, quando le forti emicranie di Cloud e la sua vacillante memoria cominciano ad avere un senso.
Il problema, già sentito in Remake ma qui ancora più forte, sta un po' nel tono. Malgrado la gravità delle situazioni, alle volte i personaggi tendono ad interagire tra loro in modo esagitato, fanciullesco, in antitesi con la terribile situazione dell'imminente morte del pianeta. Il contrasto del dramma con l'ilarità non è cosa nuova, ma c'è chi lo fa con una certa coerenza ed eleganza, mentre in Final Fantasy VII Rebirth si poteva magari attualizzare e bilanciare meglio il tutto, e rendere più concrete sia certe reazioni, sia certi dialoghi, con personaggi più credibili, maturi ed empatici.
Sono consapevole che è molto difficile parlare dell'aspetto narrativo senza scendere nei dettagli, ma sono diverse le volte in cui la mia connessione con i personaggi è venuta meno per dei comportamenti un po' nebulosi che cozzano con il contesto. Certo è che la rilettura in chiave cinematografica e moderna di certe fasi è notevole, soprattutto quando si giunge nelle città e si ammira la cura maniacale nella costruzione di esse.
È bene però sottolineare che, nonostante la storia segua il canovaccio originale, l'ordine degli eventi stessi è cambiato. Per dire, una delle località più iconiche, Cosmo Canyon, la si visita più tardi rispetto al titolo del '97. In più, nel flusso degli eventi, se ne aggiungono di nuovi, di inediti. Non parlo solo di parti ampliate, molto spesso in modo eccezionale e coerente con lo spirito originale, ma di ulteriori pezzi aggiuntivi che - sì - modificano la trama. Questi ultimi sono erogati col contagocce durante l'avventura, ne avrei voluti molti di più, anche perché sono brevi, si interrompono troppo presto e lasciano spesso insoddisfatti.
Il giudizio finale sulla narrativa mi sento di darlo dopo averlo completato al 100%: questa recensione è infatti stata scritta con il contatore che segna l'80%, dunque mi riservo di dire l'ultima parola a titolo completato.
L'evoluzione della formula
Per quanto riguarda la giocabilità, il tutto è ovviamente declinato in chiave moderna, prendendo spunto dagli attuali open world, ma non esagerando nelle dimensioni.
Ogni attività collaterale rappresenta un minigioco a sé, che sia una cattura di un Chocobo, la visita nel villaggio dei Moguri, o anche una caccia stessa, che esige il rispetto di specifiche condizioni per essere portata a termine correttamente.
La componente esplorativa è quella che ne ha beneficiato più di tutti, ora che le barriere, in parte, sono cadute. Ora Cloud può muoversi nelle aree liberamente grazie al parkour automatico, che consente all'eroe di superare gli ostacoli e di arrampicarsi semplicemente tenendo premuto il relativo tasto. Il movimento non è fluidissimo, soffre un po' di macchinosità, non riesce ad emanare la sensazione di libertà di un Assassin's Creed per intenderci, ma l'esplorazione risulta senz'altro molto più articolata con le nuove aree aperte, che si alternano ovviamente a momenti più inquadrati nelle parti narrative e nei sotterranei.
Il sistema di combattimento poi è lo stesso di Remake, che ritengo essere pressoché perfetto, la naturale e giusta evoluzione del sistema a turni, cioè una lotta d'azione incentrata in egual misura sia sugli ovvi numeri, sia sul dinamismo: si può parare, schivare e concatenare combo in tempo reale, ma è possibile fermare l'azione quando si vuole con la pausa strategica e attivare abilità speciali come le magie spendendo la barra ATB, che si ricarica con gli attacchi semplici.
Il sistema, in Rebirth, è impreziosito da personaggi e materie aggiuntive, oltre che dalle abilità sinergiche, le quali permettono di attivare colpi con due personaggi simultanei. L'utilizzo, tuttavia, è vincolato alla carica di un'apposita barra alimentata con le azioni in battaglia, come magie o abilità delle armi, cosa che spinge al cambio da un personaggio all'altro per incrementare l'indicatore sinergico.
Nonostante poi l'avventura riparta dal livello quindici, vi offre sin dagli inizi un nutrito bacino di materie tra cui scegliere, alcune delle quali inedite, come quelle che combinano due elementi in una. Stesso discorso per le evocazioni, molte già sbloccate, altre invece collezionabili visitando i relativi santuari, per poi batterli nel simulatore proprio come in Remake. Insomma, ci si ritrova davanti ad una quadra in continuità con il predecessore, profumando però d'aria fresca con una varietà davvero incredibile di nemici e boss.
Il merito va anche alla progressione del personaggio, migliorata sia in termini di possibilità di personalizzazione, sia nell'implementazione della Transmutazione.
Oltre all'introduzione di un albero di talenti differente per ogni eroe, grazie al quale potrete sbloccare anche nuove abilità sinergiche, la Transmutazione consente di produrre oggetti ed equippaggiamenti recuperando le risorse nel mondo, in un modo semplice e pulito nella lettura, che ben si amalgama nell'economia di gioco.
È bello perché vario
Se c'è una cosa della quale Final Fantasy VII Rebirth può vantare senza alcun timore, quella è la varietà. La quantità di minigiochi presenti è straordinaria, tale per cui alcuni di essi potrebbero anche essere giochi a sé, capaci da soli di distrarvi dall'avventura principale per numerose ore. È il caso di Regina Rossa, un gioco di carte inedito che ho trovato molto piacevole, che mescola un po' di scacchi con il buon vecchio Triple Triad di Final Fantasy VIII. Bello anche che sia possibile costruire i propri mazzi acquistando nuove carte o vincendole in partita, sfidando i migliori giocatori sparsi per il mondo.
Un'altra località emblematica, il parco giochi del Gold Saucer, è poi ricca di minigiochi con i quali divertirsi. Ecco, forse da lui mi aspettavo qualcosina in più, perché alcuni dei classici sono del tutto spariti a favore di altri meno riusciti, come quello delle navicelle spaziali, meno interessante di quello che sembri.
In realtà, ho riscontrato più di un paio di sezioni sfiziose sulla carta, ma meno entusiasmanti con il pad in mano, in cui la macchinosità la fa da padrona, sporcando l'esperienza generale. Senza anticiparvi troppo, ho davvero mal digerito una fase nella quale guiderete Cait Sith, uno dei "nuovi" eroi di Rebirth, alle prese con degli enigmi ambientali basati sul lancio di casse: il sistema di puntamento è quanto di più legnoso si sia potuto immaginare.
È un peccato, perché ho davvero apprezzato lo sforzo di caratterizzare tutti i personaggi e di renderli tutti partecipi nell'avventura non solo dal punto di vista narrativo.
Per esempio, gli escamotage narrativi utilizzati per dividere i personaggi sono azzeccati, ed è un ottimo modo per farvi cambiare team di volta in volta: mi è piaciuto molto poi che i membri fuori dal gruppo durante le battaglie si vedano comunque sul campo, un elemento che va a sottolineare ancor di più l'importanza di ciascun eroe. C'è un buon assortimento di situazioni con ognuno di loro, cosa che va a diluire la storia, ma non la curiosità, anche perché il gioco stesso vi invita più e più volte ad affrontare i minigiochi, benché siano secondari.
Il fatto è che la formula riesce nell'intento di distrarti, eccome se ci riesce. Ad un certo punto mi sono accorto che stavo girando per Costa del Sol con un monopattino senza una meta per accumulare chilometri e ritirare ricompense. La stessa cosa vale per le gare dei Chocobo, dove quei pazzi di Square Enix hanno realizzato piste nuove di zecca, mettendoci pure le coppe manco fosse un piccolo Mario Kart, dove gli stessi Chocobo possono essere personalizzati nell'estetica e nelle abilità.
È bello, finalmente, avere un Final Fantasy così, così denso, ricco di segreti, di attività collaterali, dove il mondo ti sembra enorme, dove senti di star vivendo davvero Final Fantasy e non un surrogato, o un qualcosa di diverso. È bello salire su Monte Corel e vederlo ergersi davanti ai propri occhi, o scorgere Nibelheim da lontano e piano piano avvicinarvisi, per poi entrare senza aspettare alcun caricamento, sotto le note della meravigliosa colonna sonora riarrangiata. E poi uscire, viaggiare, salire in sella al proprio Chocobo, librarsi verso il cielo e guardare una grafica che alle volte spacca la mascella, e alle volte mostra molte imperfezioni, alcune delle quali saranno risolte con l'aggiornamento previsto il giorno del lancio: del resto, Square Enix ci ha fornito la copia per la recensione in largo anticipo, quindi il codice sul quale ho messo le mani è ancora non definitivo.
La cosa che più si apprezza dell'estetica sono i volti dei personaggi e in particolare i loro occhi, che parlano ancor più delle loro espressioni per quanto sono dettagliati e ben animati.
Guardare i filmati d'intermezzo è un piacere, se non fosse che i sottotitoli in italiano non corrispondono affatto al doppiaggio inglese, che è molto diverso da quello giapponese. Tuttavia, a parte dei materiali talvolta in bassa risoluzione, la grafica regala davvero dei bei momenti, non tanto come mole poligonale, quanto nella cura riversata nella strutturazione delle città, che rende giustizia a quelle illustrazioni che facevano da sfondo nel titolo originale. Peccato che la modalità prestazioni sporchi troppo la definizione per fornire i 60 fotogrammi al secondo, ragion per cui ho deciso di affrontare il gioco quasi del tutto in modalità grafica.
Mi fermo qui, nella speranza di avervi almeno dato un infarinatura su ciò che vi aspetta in Final Fantasy VII Rebirth. Anche questo capitolo farà discutere, ne sono certo. In parte lo avrei avuto ancora più "polemico", con più voglia di osare, che spero abbia nella sua parte finale. Rimanete sintonizzati!
Su alcuni dei link inseriti in questa pagina SmartWorld ha un'affiliazione ed ottiene una percentuale dei ricavi, tale affiliazione non fa variare il prezzo del prodotto acquistato. Tutti i prodotti descritti potrebbero subire variazioni di prezzo e disponibilità nel corso del tempo, dunque vi consigliamo sempre di verificare questi parametri prima dell’acquisto.