Dustborn è l'esempio che alcuni videogiochi dovrebbero essere film

1 month ago 65

Quando mi hanno chiesto se volessi provare Dustborn, non ho esitato per un momento: ho detto subito di sì. Ne sapevo poco, pochissimo a dire il vero, ed in quest'epoca in cui siamo sommersi dai trailer fin troppo esplicativi e dalla generale sovrabbondanza di informazioni, è praticamente un miracolo mettere le mani su un qualcosa di cui sai poco, a maggior ragione se fai questo lavoro.

Tra l'altro, se si vede un trailer al volo, è difficile capire di cosa si tratta. Si vede una ragazza tutta d'un pezzo e dei conflitti interiori, insieme ad un cast di personaggi variopinti e situazioni che ammiccano a Life is Strange: ma qui sembra si giochi di più, che si combatta con dei robot, che ci siano moltissimi minigiochi, oltre appunto ad una classica avventura narrativa densa di bivi che possono modificare lo scorrere del racconto. Dopo aver passato molte ore in sua compagnia, posso dirvi che Dustborn è il gioco più strano a cui abbia giocato quest'anno, perché mi ha fatto provare sensazioni molto contrastanti alle quali non è stato così semplice dare una dimensione.

Piccola postilla prima di cominciare: il gioco è interamente sottotitolato in italiano, malgrado ci siano sempre meno giochi tradotti nella nostra lingua su Steam.

Un incipit così interessante, eppure…

Dustborn è realizzato da un piccolo studio, Red Thread Games, ma dietro il team c'è la firma di Quantic Dream, che con l'etichetta di produzione "Spotlight by Quantic Dream" ha identificato e prodotto il progetto. Stiamo parlando di gente che con la narrazione ci sa fare, considerando che sono gli autori di Heavy Rain e Detroit: Become Human.

Tuttavia, Dustborn è un prodotto diverso, uno di quei giochi che vuole fare così tante cose, ma così tante, che alla fine non riesci a capire quali pesci vuole pigliare. Lo avvii e vieni subito rapito dal suo stile grafico, che fa uso abbondante di cel shading, perché prima di tutto desidera addentrarvi in una sorta di fumetto interattivo: le scelte più importanti intraprese nei dialoghi, infatti, vanno a "generare" una sorta di fumetto che è possibile consultare nell'inventario.

Pure l'ambientazione è indubbiamente particolare, anche se in fin dei conti si ha la sensazione che sia un'accozzaglia di elementi presi qua e là. C'è infatti una sorta di futuro prossimo alternativo in un'America popolata dai robot che fa scenario ad una vicenda inizialmente un po' confusa, che comincia in medias res: la protagonista, Pax, e il suo gruppo di tre amici, è in macchina e sta fuggendo con una sorta di penna USB in saccoccia, all'interno della quale sembrano esserci dei dati importanti. 

Lo scopo? Attraversare l'America da Pacifica a Nuova Scozia trasportando l'oggetto per rivenderlo ad un prezzo esagerato, cosicché ognuno possa avere il futuro che desidera. Il problema? L'intera regione è controllata dalla Giustizia, un apparato di stampo totalitario che non tollera gli Anomali, coloro che sono dotati di poteri, come appunto la nostra ciurma (e sì, ci sono anche i super poteri).

Come fare per non dare nell'occhio? Fare finta di essere un gruppo musicale, i Dustborn. che va di città in città per esibirsi.

Forse era meglio un film?

Il gioco inizialmente non scende affatto nel dettaglio e, anzi, si prende dei tempi dilatati per raccontarvi il gruppo, a partire proprio dall'eroina.

Pax non è la classica protagonista buona, anzi, nei primi momenti sembra proprio una gran… come dire, "egoista", arrogante, prepotente, e tutto questo si riflette nel suo potere: con la sua voce può letteralmente controllare le persone semplicemente urlando. Le costringe a zittirsi, a farsi da parte, a bloccarsi, stimolando in loro forti emozioni che le rendono inermi.

D'altra parte c'è Noam, una persona non binaria, ex della stessa Pam, che ha un potere quasi contrario: con le sue parole tende a rilassare, ad assopire le emozioni forti che le persone stanno provando in quel momento. Poi c'è Sai, una ragazza che ha una particolarissima forma di vitiligine: quando sta provando forti momenti di stress, la sua pelle si solidifica donandole una sorta di super forza.

Chiude il cerchio Theo, l'unico non dotato di poteri, ma è praticamente il collante del gruppo, oltre ad essere un eccellente ingegnere informatico.

Per quanto l'incipit funzioni sulla carta, lo svolgimento non è affatto dei migliori: è molto lento e ho fatto fatica a legarmi a questi personaggi. Le scelte stesse non portano a risultati soddisfacenti, con vicende che non valorizzano più di tanto il cast. La stessa storia dell'infanzia di Pax è parecchio debole nelle motivazioni, con una messa in scena che se non fosse per un buon doppiaggio in lingua inglese sarebbe risultata registicamente troppo fredda: le scene infatti sono quasi del tutto statiche, con animazioni robotiche e dialoghi che non possono essere accelerati (spero lo diventino con una patch), e il giocatore può solo ruotare la telecamera mentre i due interlocutori si guardano.

Buona parte del gioco sono i dialoghi, discorsi che dovrebbero sì, esplorare i temi di amicizia, diversità e ribellione, ma con i quali non si riesce ad empatizzare.

Spesso i rapporti tra i personaggi sembrano servire più a giustificare le meccaniche del gioco piuttosto che a sviluppare una narrazione profonda e coinvolgente. Questa superficialità si riflette anche nelle meccaniche di gioco stesse, che risultano limitate: esplorare per recuperare indizi non è bello e appassionante come in Life is Strange, le scelte non sfiorano nemmeno l'impatto che può avere un prodotto di Quantic Dream, e quando Dustborn prova a fare il videogioco puro, quello in cui si gioca, fallisce. Fallisce perché i combattimenti sono legnosi, mentre i minigiochi fanno da brevissima e saltuaria parentesi di un viaggio on-the-road che è sostanzialmente un'avventura grafica dalla trama non così avvincente come la premessa vorrebbe farvi credere.

È così strano che un gioco in cui è stato dato un ruolo nevralgico alle parole, non sia così bravo con le parole. Quello che ho apprezzato è senza dubbio il fatto che sia indubbiamente un grande viaggio on-the-road, di quelli longevi, nei quali passi tanto tempo con ciascuno degli eroi, o presunti tali, e quindi inevitabilmente tendi ad affezionartici, ma mi sono chiesto se forse il linguaggio videoludico non fosse quello ideale per raccontare questa storia.

Magari con tempi molto meno dilatati ed una scrittura più vicina ai tempi di un film, chissà, sarebbe andata diversamente.

Sia chiaro, adoro i videogiochi in cui "cresci" insieme ai personaggi (come il recente Harold Halibut), mi piace conoscerli ed approfondirli, ma non posso dire che Dustborn ci sia riuscito questa volta. O, almeno, non lo ha fatto con me.

Dustborn esce il 20 agosto su PS5, Xbox Series X|S e PC al prezzo di 29,99€ in digitale: quella fisica è venduta in una speciale Deluxe Edition a 39,99€ su Amazon Italia.

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